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mercoledì 23 febbraio 2011

Io sono l'amore



La vita quotidiana di una famiglia dell'alta borghesia imprenditoriale milanese viene sconvolta dall'avvento della modernità: persone nuove, sentimenti nuovi, economia econtemporanea.

Eppure non è così difficile. Si mostra una famiglia di ricchi industriali, la si pone in mezzo alla tormenta del cambiamento, e se ne raccolgono le ceneri. Sembra facile, no? Ed invece, a quanto pare, no. Guadagnino parte bene, affrescando nella prima mezz'ora del film, le tensioni latenti dell'elegante mondo della famiglia Recchi. Tuttavia poi, scivola nel banale, immettendo nella storia Antonio, il cuoco proletario, che con la sua vitalità, la sua fraschezza bucolica, risveglierà i sensi sopiti di alcuni dei membri della famiglia.
Teorema in salsa Melissa P. 
Ci voleva il poveraccio per far provare nuovamente l'amore all'a vecchia borghese russa. Boh.

Non è che il film manchi di eleganza, o di buoni momenti, la fotografia patinata è persino interessante, il problema è che si tratta di un'opera che ha la stessa vitalità della famiglia Recchi: nessuna. Di una lentezza esasperante, senza nerbo. Senza interesse alcuno per lo spettatore. Il passaggio dal vecchio al nuovo capitalismo non è ben messo in luce (non basta una scena didattica tra il figlio idealista e quello arrivista), né viene ben illustrato come la modernità stia mettendo in crisi la patinata ipocrisia dei Recchi ed il loro mondo costruito solo sulla menzogna.
Alla fine, rimane solo una buona interpretazione della Swinton (che strazio però le interminabili scene di sesso con Gabbriellini), ed una colonna sonora apprezzabile.


Voto 5/10

domenica 20 febbraio 2011

The Boxer - Simon and Garfunkel



I am just a poor boy though my story's seldom told
I have squandered my resistance for a pocketful of mumbles, such are promises.
All lies and jest, still a man hears what he wants to hear
And disregards the rest, hmmmm

When I left my home and my family, I's no more than a boy
In the company of strangers
In the quiet of the railway station, runnin' scared, laying low,
Seeking out the poorer quarters, where the ragged people go,
Looking for the places only they would know.

Li la li...

Asking only workman's wages, I come lookin' for a job,
But I get no offers,
Just a come-on from the whores on 7th Avenue.
I do declare, there were times when I was so lonesome
I took some comfort there.

La la la...

now the years are rolling by me, they are -[rockin evenly]-
i am older than i once was
and younger than i'll be that's not unusual.
no it isnt strange after changes upon changes we are more or less the same
after changes we are more or less the same

Li la li...


And I'm laying out my winter clothes and wishing I was gone,
goin' home
Where the New York City winters aren't bleedin' me, leadin' me,
goin' home.

In the clearing stands a boxer, and a fighter by his trade
And he carries the reminders of every glove that laid him down or cut him
'Til he cried out in his anger and his shame
I am leaving, I am leaving, but the fighter still remains.



Li la li...

E' buffo che una stessa canzone risentita a distanza di 10 anni porti con sé significati totalmente diversi. Risentire, ora, In the clearing stands a boxer, and a fighter by his trade and he carries the reminders of every glove that laid him down or cut him 'til he cried out in his anger and his shame. I am leaving, I am leaving, but the fighter still remains, è un modo per tornare alla vita. Ero, sì, il vecchio pugile, andato (troppe) volte al tappeto, ero sì, il giovane fallito senza più forze, senza più entusiasmi, sconfitto nelle notti tedesche. Era tutto vero. Ma mentre andavo via, finalmente, sussultavo. Finalmemnte il vento gelido, oltre che ferirmi, riusciva a anche a destrarmi dal torpore in cui versavo da mesi. Finalmente, ai pugni che arrivavano, non reagivo, certo, ma quantomeno tornavo a sentirne il dolore. Finalmente, m'ero svegliato una mattina. Ed avevo aperto gli occhi.

Finalmente. Finalmente leggere il titolo del libro di Himket: "Gran bella è cosa è vivere, miei cari", non mi faceva venire voglia di buttarmi dalla finistra.

Gianni e le donne



Metti una sera a cena, che stai uscendo con Silvia, e che le hai affidato la scelta del film. Metti che, malgrado tu abbia superato da molto i 20 anni, sia già uscito con un po' di ragazze e che dovresti essere avvezzo alle emozioni di questo tipo. Metti anche che però, non essendo crepato dentro, ed avendo ancora una vita emotiva, ti emozioni. Ti batte il cuore per la tensione. E metti che lei abbia scelto di vedere questo film.

60enne appassito, Gianni si trascina in una Roma non turistica, e si rapporta quotidianamente con una madre emotivamente opprimente, una moglie distante, una figlia 20enne (basta questo a definirla), e tutto il microcosmo romano che gli gira intorno.

De Gregorio gira il suo secondo film sulla falsariga del primo, Il Pranzo di ferragosto: sceneggiatura curata e minimalista, dialoghi efficaci, film di situazioni. Il regista si affida ad una certa eleganza nel mettere in scena la vita di questo 60enne leggermentre frustrato, ma senza rancori. Pare che il protagonista si sia rassegnato al fatto di non essere particolarmente brillante, bello o dotato di talento. E allora, si lascia trasportare dagli eventi, in balia della vita che lui non riesce più a controllare pienamente.
Il film è una commedia, ma dietro la patina del riso, si intravede a volte una certa cupezza. Quella degli sconfitti, che si son fatti una ragione della propria condizione. Ma è anche un film che mostra la dignità di chi decide di stare al passo con la propria età. Le scene vagamente grottesche con l'amico avvocato ne sono un esempio.
Il risultato finale è un film piacevole, leggero, come il vino bianco che il protagonista tracanna allegramente, e dimenticabile. E' tempo di innovare, ora.


Voto 6.5/10

Ps

Impagabili i dialoghi tra Gianni ed il fidanzato della figlia.

sabato 12 febbraio 2011

Cella 211



Per tastare il terreno e fare una buona impressione, Juan, futuro secondino, decide di fare una visita sul "luogo di lavoro" un giorno prima di entrare in servizio. Rimarrà coinvolto nella rivolta che si sta scatendando.

Negli ultimi anni il cinema spagnolo pare quello più in forma a livello europeo, sopratutto per quanto riguarda la produzioni di genere ed a basso costo (horror, nuovi costumi sessuali, scelte etico-morali). Cella 211 è un buon esempio di cinema sul mondo del carcere. Con un chiaro rimando hitchcockiano, il protagonista si ritrova improvvisamente, e senza colpa, in qualcosa di più grande di lui. Dovrà adattarsi e scoprire cosa è disposto a fare pur di sopravvivere.
Quanto può trasfomarsi un uomo a seconda della situazione alla quale è confrontato? Quali sono i limiti valicabili e non? E cosa è disposta a fare il potere pur di conservare se stesso? Sono alcune delle tematiche trattate da Monzon nel suo buon film (ben ambientato, diretto con bravura, fotografia un po' scadente).
Il regista analizza il microcosmo carcerario e le sue relazioni con il potere e la stampa, dirigendo in modo abbastanza serrato. Certo ogni tanto scivola nel cattivo gusto (qual'è il senso di mostare un orecchio mozzato?), e ci sono alcuni punti vagamente inverosimili, ma nel complesso l'operazione è riuscita. Apprezabile la scrittura non manichea, ed il rifiuto dell'happy end consolatorio.

Voto 6.5/10

venerdì 11 febbraio 2011

Cos'era successo il 31 agosto 2010


Cos'era successo il 1 Settembre 2010 l'ho già scritto qui. Ma il giorno prima?

Ero tornato da Amsterdam da un paio di giorni. Domenica non ci eravamo visti perché a lei non andava. Le avevo proposto la Pinakoteke, e poi di andare al parco, e poi di bere una birra e poi di vedere un film e poi di uscire. Niente. Era la prima domenica da quando stavamo a Monaco che non eravamo usciti insieme.
Mi aveva mandato un sms la sera:"have we seen the stars today?"
Le avevo risposto che se anche nn le avevamo viste oggi, poteva stare tranquilla che a me bastava la sua presenza, la sua esistenza, per vederle. Davvero.

Il lunedì 30 non ci eravamo sentiti, non so bene perché. Tirava una brutta aria, ma non ne avevo capito la portata. Purtroppo aveva valutato male ogni cosa in questa storia. 16 mesi di valutazioni errate. 16 mesi a confondere razionalità ed irrazionalità. Amore ed egosimo. Amore e tradimento.
La notte del 30 avevo dormito male. Non avevo chiuso occhio col terrore che, boh, ci lasciassimo. Poi il 31 mattina avevo aperto facebook.  Avevo visto che "Davenne è impegnato con A.". E' m'ero rassicurato, come un bambino. Bastava leggere una informazione digitale per essere rassicurasi sulle sorti della propria vita.

Allora cosa avevo fatto, il 31 Agosto? Le avevo scritto una mail. Non mi va di postarla tutta.
Le avevo scritto che ero fiero del fatto stessimo ancora insieme dopo 16 mesi, che era incredibile che fossimo riusciti a costruire tutto ciò malgrado le difficoltà assurde (2 continenti diversi, lingue diverse, niente soldi). Le avevo scritto che solo pensare di stare con lei mi faceva piangere di gioia. Le avevo scritto che dopo 16 mesi ancora nn riuscivo nemmeno a guardare un'altra donna per strada, per quanto ero preso da lei. Le avevo scritto che stava arrivando l'autunno ed era venuto il momento di prendere decisioni più o meno grandi sulle nostre vite, Le avevo scritto che io ero qui, solo per lei e che ci sarei sempre stato.
Le avevo scritto, che su di me poteva contare sempre, in qualsiasi maledetto momento. Che avevo già lasciato tutto per lei, e che comunque non avrei certo smesso di fornirle prove quotidiane, di un amore stabilmente folle e degenerato. Le avevo scritto che ero io, Davenne.
La avevo scritto che l'avevo vista triste negli ultmi 2 gg e che bastava mi dicesse di cosa avesse bisogno e io gliel'avrei dato. E anche se lei non sapeva ciò di cui aveva bisogno, io avrei trovato la soluzione. Perché ero Davenne e risolvevo sempre tutto, alla fine.

Ma la vita oltre che terribilmente cinica, cattiva, malvagia, orribile è anche ironica. Perché, proprio mentre io le scrivevo parole d'amore, lei, intanto, a mia totale insaputa stava scrivendo la lettera con la quale mi scaricava. Buffo eh? Mentre io digitavo che per lei c'ero sempre, lei intingeva la penna nell'inchiosto e violentava la carta, e scriveva che dovevo sparire. Sì, sparire. Grazie di tutto, ma ora ciao. Scusami, ma non mi va più di stare con te.

Avevo inviato la mail, senza sapere della lettera che avrei ricevuto il giorno dopo.
Ero tutto sommato, contento. L'amore rende ingenui. Pensi basti quello per andare avanti. Magari ti basta anche, ma nn basta all'altro/a. Avevo inviato la mail e m'ero detto che sarebbe andato tutto bene. Che qualche mese dopo avremmo preso una casa insieme, e che era tutto bene in marcia verso la ricerca della felicità.

Ma m'ero sbagliato.

You're so vain



You walked into the party
Like you were walking onto a yacht
Your hat strategically dipped below one eye
Your scarf it was apricot
You had one eye in the mirror
As you watched yourself gavotte
And all the girls dreamed that they'd be your partner
They'd be your partner, and

You're so vain
You probably think this song is about you
You're so vain
I'll bet you think this song is about you
Don't you? Don't you?

You had me several years ago
When I was still quite naive
Well, you said that we made such a pretty pair
And that you would never leave
But you gave away the things you loved
And one of them was me
I had some dreams they were clouds in my coffee
Clouds in my coffee, and

You're so vain
You probably think this song is about you
You're so vain
I'll bet you think this song is about you
Don't you? Don't you?



I had some dreams they were clouds in my coffee
Clouds in my coffee, and

You're so vain
You probably think this song is about you
You're so vain
I'll bet you think this song is about you
Don't you? Don't you?

Well, I hear you went up to Saratoga
And your horse naturally won
Then you flew your Lear jet up to Nova Scotia
To see the total eclipse of the sun
Well, you're where you should be all the time
And when you're not, you're with
Some underworld spy or the wife of a close friend
Wife of a close friend, and

You're so vain
You probably think this song is about you
You're so vain
I'll bet you think this song is about you



Scoperta da qualche giorno. Lo so, sono un po' in ritardo. Cmq pare parli di me. Si sì: "i think this song is about me". Senza manco il probably.

Sedersi


Mi era successo che mi ero seduto.
Stavo ad un evento, una presentazione di un video. Eran tutti vestiti più o meno a festa. Io non tanto. Atmosfera vagamente ilare. E ed un tratto m'ero seduto. Guardavo intorno a me, e sopratutto guardavo me stesso riflesso nel vecchio specchio della sala ornato di coccinelle (ladybugs, come si era mascherata lei durante il carnevale tedesco. Oggi pare preistoria). E non riconoscevo niente. Davvero. Ero qualcun'altro. Non decifravo nulla di cosa ci fosse intorno a me. Non è che fosse una sensazione sgradevole, o che l'ambiente intorno avesse problemi particolari. E' che non riuscivo a capacitarmi di essere lì. Non riuscivo a capacitarmi di essere Davenne, e di trovarmi nel centro di Roma, un Giovedì sera, attorniato di persone che non conoscevo sino ad un mese prima, a festeggiare un qualcosa che non capivo.
E allora mi ero seduto. Per prendere polemicamente le distanze da me stesso.

Há muito tempo que não sou eu.
Diceva un vecchio verso del mito. Pessoa. E' da molto che non sono me stesso.

Ma allora, mentre ero seduto, e guardavo la ragazza con la maglietta bianca, e guardavo il tipo con la giacca, e guardavo la donna vestita di giallo, e guardavo il proiettore ed i computer, e le antilopi, e gli sguardi delle persone piene di vita, dubbiosa ma autentica, non riuscivo più a capire chi ben fossi io di preciso. Sì. Interpretavo un ruolo, ma il personaggio mi sfuggiva di mano ogni giorno un po' di più. M'ero perso tra adesione stanislavskiana, e recitazione a braccio. E allora, dov'era, la mia ragazza della vita precedente? E dov'erano i miei viaggi, ed i miei libri, ed i miei film, e le canzoni che amavo, e le magliette che indossavo a 14 anni, e la bicicletta con la quale violentavo i polpacci a 14 anni, ed usavo per ferirmi il viso contro il gelo in Austria e Germania? E dov'era lo stronzetto spocchioso, il figo distaccato, il seduttore autoironico, il fallito mediocre crollato sotto il peso dell'abbandono, l'entusiata post-policante, dov'era?
Non lo sapevo più.

Allora, m'ero seduto. Avevo aspettato. E poi, ero andato a bermi una birra. E avevo riso.
Già.
E la serata m'era scivolata giù per la gola in modo piacevole.

giovedì 10 febbraio 2011

Another Year

Si inizia in primavera e si finisce in inverno. Un anno di vita di Tom e Jerry (sì sì: Tom e Gerry), coppia della middle class inglese (lei psicologa, lui geologo), e delle persone che ruotano intorno a loro. Il figlio avvocato, l'amico depresso, la collega triste e solitaria, il fratello di lui, vedovo.

Osannato dalla critica, il film di Leigh (Happy go lucky, Vera Drake, Segreti e bugie) è minimalista, e piacevole, nel suo rifiuto del colpo di scena, della spiegazione a tutti i costi, della tesi a prescindere.
Scritto in modo perfetto, dialoghi mai banali, e battute sempre giuste al momento giusto. Gli attori sono bravissimi (spicca una Lesley Manville meravigliosa, da Oscar!), ed il film, malgrado una certa lentezza di fondo, non è mai noioso.

Però.
Però, nel complesso ci si poteva aspettare di meglio. Malgrado vengano mostrate con rispetto le sofferenze dei personaggi, non si riesce davvero ad empatizzare con loro. Si rimane distaccati, dall'altra parte dello schermo, senza vivere pienamente il loro dramma. E, alla fine viene anche il dubbio che la coppia centrale del film, Tom e Jerry, non sia poi tanto felice. Che, i due, siano forse soddisfatti, appagati, ma non felici. Che anzi, abbiano rinunciato alla felicità, a favore di una quotidianeità appagante e senza sorprese.
Di più: che nel loro ricevere settimanalmente gli amici ci sia qualcosa di malsano. Che ostentino con leggerezza la loro coppia ben riuscita, quasi a ricordare loro, che se sono rimasti soli ed inappagati, debbano solo cercare le colpe in loro stessi. Quasi a ricordare loro che sono dei falliti. Dei miserabili.
Verrebbe voglia di metterli in Funny games e farli aggredire dalla coppia di assassini di Haneke..
Ma è comunque un film molto interpretabile.




Voto 6.5/10


Ps

Bello, dolente e struggente il personaggio interpretato da Peter Wight. E', in parte, come potrei essere tra 25 anni.

PPs

Da vedere la scena iniziale.
"In una scala da uno a dice, quanto si ritiene felice?"
"Uno"
"Allora direi che possiamo migliorare"

mercoledì 9 febbraio 2011

Franklyn



Cosa lega un vendicatore mascherato che abita a Citta di mezzo in un futuro prossimo e postindustriale, e tre persone della Londra odierna alle prese con le loro vite disastrate (un padre alla ricerca del figlio scomparso, una ragazza depressiva, ed un ragazzo appena lasciato dalla fidanzata)?

Intendiamoci, non è un cattivo film, si lascia vedere, ed i bassi costi di produzione sono ben mascherati. Gli attori se la cavano (c'è Eva Green: quella sempre nuda in The Dreamers), e la regia è diligente. Il problema è che la pellicola è decisamente troppo debitrice nei confronti di V. per Vendetta, Blade Runner, Matrix. In alcune parti, sembra solo una loro riscrittura. Inoltre l'intreccio, risulta tendenziamente abbastanza prevedibile. Ma la pecca più grande di McMorrow è stata quella di voler mettere troppe cose insieme: suicidio, trauma postguerra, crisi di coppia, complesso edipico, schizofrenia. Troppo. A volte un buon film è solo il frutto di scelte semplici e lineari.

Voto 6/10

domenica 6 febbraio 2011

Suspicious Minds - Elvis





We're caught in a trap
I can't walk out
Because I love you too much baby

Why can't you see

What you're doing to me
When you don't believe a word I say?


We can't go on together

With suspicious minds
And we can't build our dreams
On suspicious minds

So, if an old friend I know

Drops by to say hello
Would I still see suspicion in your eyes?

Here we go again

Asking where I've been
You can't see these tears are real
I'm crying

We can't go on together

With suspicious minds
And be can't build our dreams
On suspicious minds

Oh let our love survive

Or dry the tears from your eyes
Let's don't let a good thing die

When honey, you know

I've never lied to you
Mmm yeah, yeah



Inutile aggiungere un mio tralasciabile commento personale. Davvero. Ascoltare in silenzio. Poi muovere il mouse, e premere Play un'altra volta. E poi, ancora un'altra. E poi, di nuovo.

Abba - Chiquitita



E' finito nel mio cellulare, ops, smartphone, come dicono i cazzo di fighetti, un album completo degli Abba. Allora ieri, andando al corso di tedesco (my last hope, no? la fuga verso Berlino, l'ennesimo tentativo di una vita di progetti vivaci, elettrici e falliti), ascoltavo Chiquitita degli ABBA, tra Giorgio Gaber, i Velvet Undergound e Schubert. Sì, tendo ad essere eclettico anche con le playlist.

You were always sure of yourself
Now I see you’ve broken a feather


E allora m'ero subito messo a pensare alla stronza. Già già. U're always sure on yourself. La sua maledetta sicurezza di merda in tutto. Lei era oltre l'umana paura ed i dubbi. Lei sapeva sempre quello che faceva. Lei usava le persone e poi ciao, non servi più, puoi andare. Abbiamo usato il tuo cervello, il tuo cazzo, e le tue parole, le tue poesie ed il tuo viso innamorato. E' tempo di andare avanti, la produzione industriale deve cambiare. Ciao, addio, sparisci e chiudi la porta senza far troppo rumore, che ho da fare e son stanca.

La sua cazzo di odiosa sicurezza, che ammiravo (e, ammiro), che le permetteva di rinunciare a me, così, senza colpo ferire, dopo un anno e mezzo, come fossi un maledetto idiota che s'era sbattuta per un po'.

Bene, bene.

There is no way you can deny it
I see that you’re oh so sad, so quiet


E allora, sai com'è? Lo spero anch'io ogni tanto che lei abbia una cazzo di vita di delusioni. Augurarle miserie e sofferenze è un passo che non mi riesce, ed, in parte, me ne rallegro. Ma poi mi rendo conto che sono affascinato dall'idea lei possa prendere cantonate. Possa beccare coltellate che abbiano almeno la metà del vigore di quelle che mi inferse senza troppi problemi.

So the walls came tumbling down
And your love’s a blown out candle
All is gone and it seems too hard to handle



Sì, non so più niente della maledetta, ma non riesco proprio ad augurarle di avere una bella vita di coppia. No, non ce la faccio. Sto lì, come tutti i grandi mediocri falliti, a sperare nelle delusioni altrui. A sperare che tra qualche anno, mentre starà lavando i piatti sporchi di una cena di coppia consumata la sera precedente - senza il minimo entusiasmo,e senza il minimo slancio passionale - lei possa improvvisamente piangere. Inizialmente senza capirne il motivo. E poi venuta giù la settimana lacrima, abbia un'illuminazione nera e oleosa. Sì, comprenda tutto. E si ricordi, con dolore, frustrazione e rimorso (e rimpianto), dell'abominio che aveva commesso nell'estate del 2010, una vita fa.

You’ll be dancing once again and the pain will end
You will have no time for grieving
Chiquitita, you and I cry
But the sun is still in the sky and shining above you
Let me hear you sing once more like you did before


Ballerà di nuovo, bella e felice e senza problemi, come fece due giorni dopo avermi scacciato via dalla sua vita (e della mia. E' da quel dì che è iniziata la mia vita senza me)? Canterà ancora?
Faccia lei. Faccia il caso. Faccia la vita. Facciano le offerte del supermercato. Faccia la politica mediorientale. Io non voglio (e del resto, non posso assolutamente!) influire.
Non sono nemmeno come il cinese che aspetta passi il cadavere del nemico: mi faccio i cazzi miei, bloggo da frustrato, vado al cinema e bevo birre con amiche nuove. Aspetto l'oblio: tra qualche anno sarà fatta. Sarà il primo obiettivo raggiunto.

Del resto, non avevo trovato stupenda la massima: Non vorrei mai ferirti. Ma è comunque nella lista?

La sindrome del cavallo a dondolo

Perso, tra fare il marketing di me stesso, vendere la mia anima, aumentare le mie competenze trasversali, influire sul mio potenziale, gestire l'emotività, comunicare in modo assertivo, credere nei miei obiettivi, raggiungere il successo, trovare i miei sogni, posizionarmi sul mercato, essere il target di me stesso, fare briefing con la mia anima, analizzare i miei punti deboli, fare public speaking, organizzare flashmob con turisti indonesiani, subire, creare, dormire, studiare, leggere e fingere. Perso, tra tutto ciò e senza speranze, avevo sentito un concetto innovativo. Sì, sì.

La sindrome del cavallo a dondolo.

Cos'è?
E' l'idea di essere in movimento, di fare qualcosa, di cambiare, di andare avanti, mentre in realtà si sta sempre nello stesso posto. E' l'idea di seguire la tipa conosciuta in Austria, attraverso il Brasile e la Germania, ed in realtà non aver fatto un cazzo. E' l'idea di fare l'amore con qualcuno, mentre in realtà, l'altra si sta limitando ad offrirti il suo bel corpo da ex modella, e nulla più. E' l'idea di costruire qualcosa mentre in realtà sei fermo come una dittatura nord africana. E' credere di star facendo la rivoluzione, quando invece Mao ha già preso il potere la notte precedente. E' l'idea di essere vivo quando in realtà sei morto. E non lo sai.
Oscilli, senza mai fermarti, con apparente dinamicità, mentre sei drammaticamente statico, e viene superato da tutti. La vita stessa ti supera sulla corsia laterale, mentre te, beato, oscilli, dondoli, senza capire nulla di ciò che hai intorno. Prepari mentalmente una vita di coppia, ed un matrimonio, mentre al tuo fianco stanno già organizzando il tuo funerale. Studi materie che son già state abolite dall'economia della conoscenza. Guardi donne già promesse a vite diverse, di cui te non fai parte. Percorri strade già abolite dal nuovo piano regolatore.

Sei il grande dondolante, che crede di andare avanti e sì ritrova sempre, sempre, nello stesso posto di merda.

Eccola, la sindrome del cavallo a dondolo.

venerdì 4 febbraio 2011

Coming back home


Ero appena arrivato al capolinea degli autobus. Era pieno, come al solito. Uomini stanchi e donne senza nerbo aspettavamo impassibili l'arrivo del pullman. Tornare a casa era la loro unica priorità. Gli sguardi eran vuoti, senza espressività. Erano un esercito stanco di combattere che aspettava solo il rompete le righe. Davanti a me c'era una donna rumena di mezza età e  un uomo sui 30. Puzzava in modo vergognoso. Scherzava con parole stranieri, che a sentirle risultavano tremendamente volgari.
Ovviamente l'autobus tardava ad arrivare. Nessuno se ne curava: era la normalità. Qualche sguardo verso il tabellone, nella vana speranza d'ottenere qualche notizia. Niente. Qualcosa sarebbe partito, entro un po' di tempo.
Poi, finalmente il mostro blu s'era mosso e s'era posizionato sulla banchina. Iniziava la lotta per la sopravvivenza sociale: 95 persone per 40 porti a sedere. Nessuno guardava più in faccia nessuno: la lotta sarebbe stata dura e senza esclusione di colpi. Le donne cominciavano a guaire. Gli uomini a dare spallate. Il puzzolente di fronte a me si agitava come se in ballo ci fosse la sopravvivenza della sua famiglia. Anzi: un essere simile non poteva avere una famiglia. O almeno così speravo per la l'ipotetiche moglie. E gli ipotetici figli.
Io non potevo fare molto nella lotta per l'entrata dell'autobus. Cercavo di muovermi sì. Ma non avevo né il coraggio di buttarmi nella mischia, né quello di rinunciare totalmente all'agognato posto a sedere. Non avevo il coraggio di fare niente, come al solito. E allora lanciavo occhiate ironiche e facevo un passetto in avanti, quando potevo. Intanto maledicevo questo paese di merda, l'Italia, che ci aveva ridotti a comportarci come delle bestie. Che ci trattava come insetti. Eravamo un gruppo di piccoli insetti, destinati ad essere sterminati, che nell'attesa, lottava per traguardi inutili. Odiavo l'italia. Sì. Odiavo gli Italiani che permettevano tutto ciò. Che consideravano la mediocrità non solo come una condizione da subire, ma come la normalità. Lo schifo, la violenza, l'ignoranza erano uno stile di vita. Erano le basi per la serena e civile convivenza.
E intanto i succhi gastrici cominciavano a fare il loro lavoro. Lo stomaco veniva perforato in modo lento e costante.
Perché non potevano inviare 2 autobus? Mistero.
Perché non poteva usare autobus puliti? Mistero.
Perché non si potevano rispettare gli orari? Mistero.

***

Entrato e seduto. Mi godo le comodità del sedile vecchio e puzzolente. L'autobus risale agli anni '70. Ha visto tempi migliori. Ha ospitato culi migliori. Intanto assisto allo spettacolo indecente degli altri che lottano per gli ultimi posti a sedere. Vermi. Litigano, si prendono a male parole. Cazzi vostri, animali, penso. Ch'ho un po' di compassione per un paio di signori di mezza età che sembrano essere rassegnati con dolore alla situazione. Ma poi la compassione passa. Voi 40enni avete permesso tutto ciò, accettando tutto. Accettando ogni malefatta del governo. Accettando di chiudere sempre gli occhi, di fronte allo schifo. Turandovi il naso ed andando avanti. Sì Sì, voi.
Poi si parte. Finalmente. 35 km e poi a casa. Lontano da tutto. Doccia. Cibo. Libro. Twitter. Pensieri.

Mentre sto pensando alla mia ex, ed a quanto vorrei avesse solo fidanzanti di merda, nel futuro prossimo e lontano, ecco che che parte musica araba. Mi giro alla ricerca della fonte. Due ragazzi marocchini o egiziani, stiamo lì (divento razzista ed ignorante a fine giornata. Li metto tutti insieme i cafoni: bianchi, neri, turchesi) avevano ben pensato di condividere con l'intera popolazione dell'autobus i loro gusti musicali. Esistevano le cuffiette, certo. Ma perché usarle? Perché mai mostrarsi civili in un paese di incivili? E allora tutto il viaggio con la cantilena araba a violentare i miei stanchi timpani. Penso che potrei fare qualcosa, sì, lamentarmi, dire loro che magari potrebbero rispettare gli altri. Ma poi ho un'illiminazione. Gente come loro, che impone la propria maleducazione a tutti, non è certo sensibile al concetto di rispetto. No. no. Mi beccherei un bel pugno in faccia e un paio di insulti nella lingua di Maometto. Allora, tacere. Ingoiare, come al solito. Come fanno le troie con i loro clienti. Ingoiare. Ingoiare il godimento altrui, perché la società ha fissato regole che non riesci a scalfire. Ingoiare
Stare zitto, incassare. Mancano solo 20 km a casa.
Siamo una popolazione abituata a fare pompe ed ingoiare. Come dice quel comico, "siamo in pieno orgasmo da sottomissione".


Ma la musica araba non disturba tutti. Le due ragazze di fronte a me conversano allegramente.

Il mio capo non mi ha pagato i due lunedì in cui ho lavorato a Dicembre, e perché, e che ne so, ma cosa gli hai detto, che mi doveva dare i soldi, e lui, lui ha detto "alessia non ci capiamo bene noi due..", in che senso, nel senso che dovevo stare zitta e ringraziare che mi faceva lavorare, ma che bastardo, già, e tuo marito che ha detto, niente, ha detto che era un bastardo, eh sì, sì proprio un bastardo.

I concetti di protesta, di sindacato, di denuncia, di magistratura, di avvocato del lavoro, di diritti inalienabili, di rivendicazione salariale, erano materiale troppo difficile da accettare. Erano cose strane. da gente che vuole litigare. Gente polemica.
Poi era arrivata una telefonata a una delle due.
Amore sì dimmi, ma dai, ma davvero, giuri?
Mio marito sta istallando i termosifoni a casa di Fiordaliso, cazzo!!
Non ci stava più nelle pelle. Aveva alzato di qualche tacca il tono della voce, coprendo persino le lamentele musulmane di qualche fila più indietro. Troppo grande era la sua gioia: il marito era da Fiordaliso.
Ma ce l'ha l'uomo? E Com'è la casa? Oddio che emozione. E il parquet ce l'ha?

Aveva messo giù il telefono. Ora raccontava dettagli all'amica, eccitatissima. Aveva dimenticato ogni frustrazione lavorativa. Che ti importa se il tuo datore di lavoro ti sfrutta, ti umilia, ti ruba la paga, se poi tuo marito installa termosifoni da Fiordaliso?
I temi s'erano poi spostati sulla suocere. Avevo mollato. M'ero messo le cuffie ed avevo deciso di ascoltare un po' di musica. Fare finta di isolarmi dalla merda che avevo intorno. Non che funzionasse benissimo eh. Ma pareva essere l'unica opzione possibile. Ed attuabile.

***

Era salito un ragazzo di 18 anni. Aveva messo i piedi sul sedile, contribuendo a sporcare ancora di più. L'avevo guardato disgustato.

Che cazzo te guardi ao
I tuoi piedi sul sedile
Io faccio come cazzo me pare, tanto è già sporco
Massì dai, famo tutto come cazzo ce pare, non è così che va avanti da sempre qui?

Poi era sceso, non senza lanciami un'occhiata stile: "appena ti ribbecco ti pro in due, maledetta checca".

Fatto sta che l'autobus era arrivato a destinazione. Ero sceso. Avevo mandato a fare in culo un automobilista che non mi aveva dato la precedenza sulle strisce pedonali. M'era avvicinato al portone di casa, avevo inserito la chiave nella toppa. E l'avevo girata.

Domani si ricominciava.

mercoledì 2 febbraio 2011

The Genius Of The Crowd



Una poesia meravigliosa, me ra vi glio sa.

there is enough treachery, hatred violence absurdity in the average
human being to supply any given army on any given day

and the best at murder are those who preach against it

and the best at hate are those who preach love
and the best at war finally are those who preach peace

those who preach god, need god

those who preach peace do not have peace
those who preach peace do not have love

beware the preachers

beware the knowers
beware those who are always reading books
beware those who either detest poverty
or are proud of it
beware those quick to praise
for they need praise in return
beware those who are quick to censor
they are afraid of what they do not know
beware those who seek constant crowds for
they are nothing alone
beware the average man the average woman
beware their love, their love is average
seeks average

but there is genius in their hatred

there is enough genius in their hatred to kill you
to kill anybody
not wanting solitude
not understanding solitude
they will attempt to destroy anything
that differs from their own
not being able to create art
they will not understand art
they will consider their failure as creators
only as a failure of the world
not being able to love fully
they will believe your love incomplete
and then they will hate you
and their hatred will be perfect

like a shining diamond

like a knife
like a mountain
like a tiger
like hemlock

their finest art

Il moralista intransigente



Ero appena arrivato in aula. S'era prima della lezione, e due discutevano del fatto il giorno prima fosse stato beccato un deputato, in parlamento, mentre visitava un sito di escort con l'I-pad.
Bene, io avevo espresso il mio disgusto totale per la cosa. Non c'entrava NIENTE con il fatto lo stesse facendo in parlamento, quindi mentre stesse "lavorando".
No, il digusto era per l'uomo, persona pubblica, che visitava un sito di troie.

"Eh ma l'uomo è uomo, è normale voglia vedere un po' di porno in un momento di pausa."
"Cosa???"
"Sì, dai mica c'è niente di male. Ok è sbagliato farlo in parlamento, ma in generale, a casa sua, fa quello che vuole, no?"
"No. Trovo repellente chi paghi troie, trovo repellente che veda siti porno."
"Eh, che bacchettone che sei!"
"No guarda, hai sbagliato persona. Per me posson chiavare tutti con tutti. Per me puoi trombare con chi ti pare, dove ti pare e come ti pare. Ma sfruttare la miseria di una donna per fartela, è un atto ignobile, schifoso. Come orribile è sfruttare una situazione di potere per ottenere favori sessuali. Come schifoso è vedere immagini porno. Cazzo trovati una compagna e condividi con lei le cose che hai in testa. Se cerchi donne nude su internet, escort, pornografia, sei solo un essere repellente. Senza etica, totalmente inadatto a gestire la cosa pubblica. Ad avere comportamenti morali. Se vedi siti porno è logico che poi accetti le mazzette. E' una conseguenza ovvia."
"Vabè, ma scusa, te, nn hai mai visto un sito porno?"
"No e manco conto iniziare adesso."
"Ma sei davvero un moralista, cazzo!"
"No, sono un persona seria. E' leggermente diverso."
"Ma dai, un altro moralista cattolico che vive nel 1200"
"Guarda a me la religione cattolica, come ogni religione, fa orrore. Non ho manco fatto la comunione. E sono tutto fuorché sessuofobico. Anzi."
"E allora perché devi scassare il cazzo agli altri?"
"Primo non scasso niente a nessuno. Secondo c'è una bella differenza tra il fare l'amore (o sesso, come cazzo ti piace di più) con una tipa o un altro tipo o 2 tipe o 4 tipi insieme, e il visitare siti porno. O pagare persone per fare sesso con te"
"Se vabè, ma divertiti va"
"Lascia perde va: c'abbiamo idee di divertimento un po' distanti"

***

Poi durante la pausa del pomeriggio, stavo discutendo con un altro tipo.

"Hai sentito quella canzone dei Noir Desir?"
"Ti fermo subito: non ascolto quella gente"
"E perché mai?"
"Perché il loro cantante ha ammazzato di botte la fidanzata e l'ha lasciata agonizzare tutta la notte senza fare un cazzo"
"Vabè ma cosa c'entra, devi ascoltare la loro musica, mica solidarizzare con quel tipo!"
"No, troppo facile. Perferisco limitare i miei orizzonti, che sentire la musica di un porco che ammazza di botte la sua fidanzata. Mi fa orrore la cosa."
"Ma allora tu sei proprio un moralista eh?"
"Io?! Guarda, sbagli persona. Io ho solo alcuni punti su cui non posso transigere. Posso ascoltare musica di uno che vota a destra, leggere i libri di un maiale che vota forza italia, ma ascoltare i versi di uno che ha ucciso di botte la compagna, no"
"Così rimarrai limitato"
"Meglio quello che complice intellettuale di un porco"

***

Poi me ne son tornato a casa.
Però, tutto sommato era divertente farsi dare del moralista.
Del resto m'ero già beccato un paio di volte del fascista, del destrorso e della checca. Un moralista in più mica faceva male, no?

martedì 1 febbraio 2011

L'arte di Banksy






Inutile annoiare con i miei commenti. Ogni parola sarebbe superflua. Arte.

Ascoltando gli altrui racconti

Tutti quelli che avevano vissuto all'estero un'esperienza amorosa, mettevano la stessa tra le cose da "ringraziare".

Grazie, perché siam stati bene insieme, e ho imparato tanto da te.
Mi hai dato tanto. Ho capito tante cose.
E' stato qualcosa che mi ha cambiato.
Che è servito.


Tutti ne parlavano come di una cosa breve, intensa e che portava in sé sin dal principio il germe della provvisorietà, della morte.

Io avevo un problema: ero il solito dissociato, strambo, scemo. Ero l'unico che la propria "esperienza amorosa all'estero" se l'era portata dietro. Anzi, le era corso dietro: attraverso google talk, twitter, l'Iberia ed i viaggi intercontinentali. No, non me ne facevo molto di qualche scopata a caso in terra straniera. Fortunatamente non vivevo e vivo di donne come tacche da esibire o aggiungere. Io le ero andato dietro e basta. "Afferra il tuo sogno, ed inseguilo", no?
Beh l'ho seguito.
Beh, me li son fatti più di 50.000 km per starle vicino.

Non riuscivo a considerare i rapporti umani come passeggeri. Non riuscivo, per limiti intellettuali, emotivi e sentimentali, a considerare di andare a letto con una e poi cancellarla dalla mia vita. Dice Grossman, che a volte non ci rendiamo conto di quanto sia forte, assurdo, intenso il legame che si instaura tra un uomo ed una donna, se i loro corpi si penetrano. Davvero, quanto forte deve essere questo collegamento, se permetti a qualcuno di entrare dentro di te?

Ora, non faccio filosofia sull'atto sessuale. Una scopata può benissimo essere una scopata e basta, per carità. Non mi atteggio a fare il grande moralista: sono per la libertà sessuale, sono per la libertà di comportamento, sono per la autodeterminazione in fatto di scelte sessuali. Non mi riguardano le decisioni altrui e le visioni altrui.

Ma, se hai avuto un rapporto con una persona, se ti sei sentito totalmente preso da lei, se hai mollato la tua ragazza perché volevi stare solo con lei senza inventare bugie o sentirti condizionato da rimorsi e dubbi etici, se sin dal primo bacio, di più, dal primo sguardo, dalla prima volte che le hai toccato le mani, dal primo istante in cui l'hai vista nuda, hai sempre e solo pensato: DEVO stare con te, perché sei l'unica persona mi renderà mai felice, allora non PUOI, considerare la cosa una semplice avventura esotica. Non puoi.


Devi prendere aerei, devi imparare un'altra lingua, devi sanguinare finché tu non abbia più la forza di muoverti e di pensare, devi ferirti consapevolmente pur di starle accanto. Devi accettare di commettere errori, devi ingoiare i rospi. Devi stare al freddo, da solo, alla stazione di Monaco alle 5 di mattina.

E poi, quando lei s'è stancata di te, la devi lasciare andare, in silenzio e senza protestare. Magari versandoci su due lacrime. E poi, miseramente scomparire.

E lasciare che, qualche mese dopo, persone sconosciute, ti raccontino con soddisfazione dei loro amori all'estero. E sentire,provare, che davvero, eri un caso irrecuperabile.
Coraggio, tra 45 anni al massimo saresti morto.

Ps


Sì, unisco due concetti diversi: una cosa è discutere sull'atto sessuale in sé, un'altra dell'inseguire con tutte le proprie forze un rapporto, perché capisci sin dall'inizio di poter esistere solo in quanto parte dello stesso. Mischio, unisco, divago. Il lettore mi perdoni. Ma non riesco ad essere sobrio. Sono, come lessi una volta, emotivamente immaturo. E sentimentalmente morto.

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