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sabato 12 febbraio 2011

Cella 211



Per tastare il terreno e fare una buona impressione, Juan, futuro secondino, decide di fare una visita sul "luogo di lavoro" un giorno prima di entrare in servizio. Rimarrà coinvolto nella rivolta che si sta scatendando.

Negli ultimi anni il cinema spagnolo pare quello più in forma a livello europeo, sopratutto per quanto riguarda la produzioni di genere ed a basso costo (horror, nuovi costumi sessuali, scelte etico-morali). Cella 211 è un buon esempio di cinema sul mondo del carcere. Con un chiaro rimando hitchcockiano, il protagonista si ritrova improvvisamente, e senza colpa, in qualcosa di più grande di lui. Dovrà adattarsi e scoprire cosa è disposto a fare pur di sopravvivere.
Quanto può trasfomarsi un uomo a seconda della situazione alla quale è confrontato? Quali sono i limiti valicabili e non? E cosa è disposta a fare il potere pur di conservare se stesso? Sono alcune delle tematiche trattate da Monzon nel suo buon film (ben ambientato, diretto con bravura, fotografia un po' scadente).
Il regista analizza il microcosmo carcerario e le sue relazioni con il potere e la stampa, dirigendo in modo abbastanza serrato. Certo ogni tanto scivola nel cattivo gusto (qual'è il senso di mostare un orecchio mozzato?), e ci sono alcuni punti vagamente inverosimili, ma nel complesso l'operazione è riuscita. Apprezabile la scrittura non manichea, ed il rifiuto dell'happy end consolatorio.

Voto 6.5/10

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