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lunedì 28 maggio 2012

Perché Zeman è di sinistra



Quando chiesero a Zdenek Zeman come la pensasse politicamente, lui, furbo, passò alla domanda successiva. Perché inimicarsi tifosi e/o giornalisti con opinioni su argomenti che oramai non interessano nessuno?
Eppure Zeman è di sinistra. Eppure rappresenta bene le idee radicali del progressismo.

Perché è ceco, e quindi è stato educato con i valori del socialismo reale? Perché tiene sotto al letto un libro di Mao, i proclami di Lenin o la tessera del Partito Comunista Cinese? No, niente di tutto ciò. Magari vota partito liberale, ama Milan Kundera e odia solo leggere le parole comunismo e socialismo.

Ma Zeman è di sinistra.
Incarna le idee del radicalismo della sinistra. Perché mette la squadra in campo a prescindere dagli avversari. Perché non tratta sui valori calcistici, e malgrado le sconfitte nel corso degli anni non si piega al mero calcolo utilitario. Perché battuto, e talvolta umiliato, porge forse il collo all'avversario, ma non cambia idee.

Perché ha creduto che le sue intuizioni, le sue triangolazioni, le sovrapposizioni del terzino sinistro, i suoi schemi, avessero un valore a prescindere da quello che gli altri indicavano, contro ogni logica. Perché quando perse in casa 5-4 (ve la ricordate quella serata, no?), i suoi supporter erano delusi, ma quasi fieri. Perché era prevalsa l'idea rispetto al risultato. Perché s'era perso, ma si erano anche buttate le basi per il futuro. Perché era meglio perdere oggi, perdere domani e perdere anche dopodomani, piuttosto che abbassare lo sguardo e sporcarsi le mani.

E così Zeman è di sinistra.
Incarna la visione utopica di un gioco scemo. Ha le sua pletora di seguaci (culto della personalità? vecchio vizio della sinistra, no?). Va avanti immutabile. È lento nel modificare i suoi dogmi secolari, il ché rappresenta nello stesso momento forza e limite dell'uomo. Perché quando arriva, cambia l'ambiente.

Zeman è di sinistra perché ha impatto sui giovani. È risaputo che i vecchi, oramai cinici, ricchi e svogliati non lo seguano. Lo deridano, lo disprezzino, lo guardino con diffidenza e dileggio. I ragazzi no. I ragazzi restano affascinati. I ragazzi credono. I ragazzi sono di sinistra.
Barroso, sì, il presidente della Commissione Europea, politico affermato, moderato e liberale, ricordò che fosse preoccupante se un giovane non si sentisse di sinistra almeno a 18 anni. I ragazzi sono ancora sensibili all'innovazione e al diverso, e i ragazzi seguono Zeman. 

Questo non è un post serio. Questo non è un post politico, questo non è un post calcistico.

Ma Zeman è di sinistra.

sabato 26 maggio 2012

Racconti Ungheresi



Prologo

Avevo fatto la selezione otto mesi prima. Il mercato delle compagnie aeree era in crisi da tempo, ma questa nuova azienda ungherese, la Budair, aveva deciso di investire in Italia (perché? Come? Sicuramente avevano pagato mazzetta qua e là, come al solito). Erano arrivate le solite millemila domande, e s'era proceduto con una prova scritta pre-selettiva.

La Budair è fiera di avervi qui oggi. Siamo una compagnia giovane che sta selezionando solo i migliori talenti: ciò che conta per noi è infatti la qualità del servizio che offriamo ai nostri clienti. Voi siete l'eccellenza. Voi diventerete i nostri ambasciatori presso la clientela. E non pensate, no, che non si possa progredire. La nostra azienda ha messo al centro di ogni cosa la meritocrazia: chi comincerà dai ruoli più umili potrà finire in alto, molto in alto se dimostrerà il proprio valore. Noi mettiamo voi al centro di tutto. I nostri primi clienti sono i nostri lavoratori, la nostra famiglia.

E grandi applausi. Io scoreggiai silenziosamente.

Ci presentammo in 25.000 per la prova scritta. La selezione era aperta a chiunque avesse finito le scuole medie, fino ai 31 anni di età. Inutile dire che fosse piena di laureati iper-preparati (Silvio aveva promesso 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro, invece erano arrivati solo 5 milioni di contratti precari per chi ne aveva uno già fisso), di disperati e di scemi semi analfabeti. Attualmente, in Italia, c'era solo la merda: un lavoro con SOLO qualche indecenza era diventato una bella opportunità.

Passammo lo scritto in 1.000.

Torino


Dopo 4 mesi avevano cominciato a chiamarci per fare un nuovo colloquio.
Eravamo stati convocati a Torino, base operativa della Budair. Ci era stato spiegato ci sarebbe stato un colloquio in inglese e poi un altro individuale. Presi il treno per Torino, il biglietto era ovviamente a carico mio, in quando la Nuova Grande Compagnia non poteva certo sobbarcarsi il costo del trasporto di noi futuri asset aziendali, e mi presentai in cravatta e mocassino alle 14:00 in punto per il colloquio, nella luminosa Sede Aziendale. Quel giorno avremmo dovuto farlo in 15.

Trovai subito gli altri Grandi Futuri Manager, che discutevano all'entrata della palazzina: erano tutti vestiti da coglioni, come me, e sembravano avere una certa strizza. A me fotteva sega: un lavoro di merda già ce l'avevo, se ne avessi trovato un altro ugualmente di merda sarebbe cambiato poco.

Dopo aver discusso un po' delle solite boiate - l'inglese sarà difficile?, Ma quanto è alto lo stipendio?, Ma credi ce la fremo?, In azienda si respira un buon clima mi ha detto un'amica, Dai ragazzi è solo un'opportunità, passato un aereo se ne prende un altro (questa era sensata far ridere), Ma quante altre prove ci attendono?, Ma secondo te dovrei dare il culo al mio fidanzato?, Certe che le divise per il Team di Volo sono davvero belle ed eleganti eh! - eravamo finalmente saliti al primo piano dello stabile dove si sarebbe tenuta la nuova selezione.


Buongiorno Signore e Signori, siamo felici di avervi qui. Ora faremo un breve test logico e poi passeremo alla valutazione del vostro inglese. Successivamente ci sarà un test matematico e poi passeremo ai colloqui individuali.
Erano tutti emozionati. Io avevo voglio di vomitargli addosso, ma mi contenevo con eleganza. La mia camicia bianca si intonava perfettamente alle mutande di pizzo della tipa che mi stava accanto.



La terza prova

Dopo il test psicologico, dove immancabilmente qualche coglione non era stato in grado di rispondere a domande fondamentali quali "credi in te? - Meneresti uno solo perché è uno sporco negro? Cosa pensi delle ragazze che ingoiano?", e dopo 40 minuti aveva chiesto altri 5 minutini (sic), s'era passati al colloquio di gruppo con annesso test orale di inglese, davanti a 4 selezionatori, il professore di inglese e gli altri 14 candidati.

Quando era venuto il mio turno avevo spiegato d'essere vissuto in Bulgaria per un periodo della mia vita ed i aver passato 6 mesi di Erasmus in Portogallo. Avevo menzionato i miei studi in diritto, e poi era partito l'interrogatorio in inglese.

Why would you like to get this job?
Avevo risposto in inglese medio, niente di ché, che credevo potesse aiutarmi a crescere professionalmente (come no!), e che la Budair era una grande opportunità per noi giovani (pareva che invece di incularti con il bastone usassero solo una carota), e che vedevo assolutamente il mio futuro presso di loro, magari in ruoli dirigenziali in qualche anno.

Il professore di inglese mi guardava con aria inorridita. quasi gli avessi detto, nella sua meravigliosa lingua madre, che prima di salire sul treno per Torino mi fossi fatto sua sorella, e non le avessi nemmeno usato la cortesia di sculacciarla. I quattro selezionatori (3 donne ed un uomo) ridevano di me, si davano colpetti sui fianchi e scuotevano la testa. Evidentemente avevo contravvenuto a qualche regola non scritta. Qulache Codice Segreto Aziendale.
Vabbè, pensai, mi sa che stavolta è persa. Speriamo di trombare stasera.

Dopo un po' arrivarono ad una ragazza. Era laureata in Ingegneria Gestionale e aveva un contratto a Partita Iva per un'azienda di trasporti, dove si occupava di contatti con i fornitori.
Aveva detto le solite banalità - stimo l'azienda, la crescita, adoro gli aerei, Budapest è la mia città preferita, i cazzi ungheresi sono i più prestanti dell'Europa dell'est, lavorare in volo non sarebbe un problema, ect - ma i selezionatori avevano deciso di punirla.

E quindi lei lavorerebbe volentieri per noi?
Sì, certo.
Ma non ha una laurea in Ingegneria Gestionale?
Sì, ma credo che sarebbe utile all'azienda.
Guardi che lei dovrà spostare il Trolley Vendite, lo sa?
Certo.
E lei lo sposterebbe? Lei offrirebbe panini alla clientela?
Perché no, è una opportunità di crescita.
Non ci ha capito credo. Prima abbiamo sentito di gente che voleva crescere (ogni riferimento a me era evidentemente casuale). AH, crescere! AH-AH CRESCERE! Lei venderà panini, lei metterà valige nella cappelliera, lei dovrà pulire il vomito dei vecchi, ha capito? Lo capisce? È il suo sogno questo? È quello che voleva fare della sua vita?
Non è esattamente quello che volevo fare, ma se...
NO, NON CI SONO MA: lei deve essere motivata a pulire i cessi, a vendere medaglioni con il formaggio ed i carciofini, ha capito? Lei deve volerlo come scopo di vita. Quanto lo vuole questo? Quanto vuole sia la sua occupazione per i prossimi 20 anni? Qui non esiste avanzamento, qui esiste solo muovere il Trolley Vendite e sorridere!
Ma io...
NO, da 1 a 10 quanto è motivata? Quanto?
Beh, diciamo non 10...
Le abbiamo chiesto un numero, quanto?
Sicuramente non 3..
CI DIA LA CIFRA
6
Benissimo, va benissimo.

Ed erano passati al candidato successivo, uno scemo che veniva da Napoli, con accento fortissimo. Disse testuale che lui ora faceva il cameriere, da 10 anni (DIECI) anni, aveva una laurea, e servire tè freddo era l'aspirazione della sua vita. Sarebbe stato fiero di poterlo fare per la Budair.

I colloqui finirono, il recruiting team si riunì qualche minuto, poi tornarono nella stanza e mandarono via la metà dei candidati. 10 minuti dopo sarebbero iniziati i colloqui individuali con la Psicologa del Lavoro.

lunedì 21 maggio 2012

Due etichette



Uso i tag. 

I fallimenti emotivi, nel corso degli anni m'hanno costretto ad adottare strategie nuove differenti. Per esempio non nomino mai la mia ex ragazza, quella della vita precedente. Se devo parlare di lei in pubblico la chiamo la cagna, se la devo citare su internet uso semplicemente A. Ho timore a pronunciarne il nome, come fosse quello di un padre-padrone morto d'infarto anni prima, e che avesse compiuto abusi, lacerato menti, lasciato traumi e cicatrici.

Uso i tag, e quindi quando scrivo qualcosa sulla cagna uso il tag A. Non ce ne sarebbe motivo: non rileggo mai (per pudore, vergogna, disinteresse interessato, mancanza di entusiasmo) i post vecchi, ma mi piace che ogni cosa abbia una sua etichetta. E allora uso i tag anche se e quando scrivo della ragazza nuova. Che orrore definirla nuova. Le conferisce un brutto senso di provvisorietà ed attrattiva commerciale, come fosse una macchina in offerta, che ad oggi è comprensiva di tutti gli accessori, ma domani sarà destinata ad essere sorpassata. L'ultima ragazza che ho di fianco è sempre quella definitiva, men che mai in questo caso, quando hai la percezione lo sia davvero. Quando in un certo senso, definitiva lo era già dopo 20 minuti che la conoscevo, e la guardavo di fronte a me, nel pub, mentre bevevo una birra e mi sembravo parte di un bel romanzo anglosassone contemporaneo.

Uso i tag, anche mentali, anche collegati alle canzoni.
Per esempio non ascolto mai i Coldplay perché li associo alla cagna (volevo dire ad A., qui stiamo scrivendo su internet, devo citarla per bene): se mi passa per l'mp3 Aimer est plus fort que d'être aimé ripenso ad una certa mattinata (era Domenica) in cui presi la bicicletta per attraversare mezza città e comprare nell'unico supermercato aperto (quello vicino alla Stazione Centrale) gli ingredienti per prepararle la colazione, ed anche ad una certa serata (era Sabato) in cui stavo tornando a casa con l'autobus (che numero era? il 38? il 18? non ricordo più) dopo che eravamo usciti a bere una cosa. Birra, probabilmente.
E se mi passano per la testa gli Snow Patrol penso invece ripenso ai primi tempi che uscivo con Pavlov (ho deciso che l'avrei chiamata così, senza originalità, dato che me lo suggerì lei), e tornavo in metro, ascoltando Just Say Yes, sperando lei dicesse sì davvero, ed aspettando già, con l'impazienza felice ed angosciata che solo gli innamorati sanno provare, l'uscita successiva.

Uso i tag, e mi sono accorto che c'è un post in cui ho usato insieme il tag A. e Pavlov. No, non sono righe in cui scrivo brutti confronti, immagino grotteschi passaggi di consegne, o invento su due piedi scene tra le due (benché sarebbe divertenti vederle conversare: l'egoismo condensato e l'altruismo puro. Tipo una forza in grado di distruggere tutto che incontra una forza in grado di resistere a tutto. Ne parlai con la cagna, ops., A., di questo paradosso, una volta). Insomma c'è questo post, e ricordo bene che lo scrissi di notte, tornato da una serata in vineria (si dice così, davvero!). L'avevo passata con Pavlov e m'ero sentito finalmente libero (almeno in parte: non s'è mai liberi del tutto. Il mio tributo alla cagna continuerò a pagarlo in silenzio e con rate a tasso sempre più basso e conveniente, ma si tratta di un mutuo senza estinzione: sono l'ospite silenzioso dell'Hotel California), insomma finalmente libero da un certo tipo di giogo. E così in un post sono contenute le due etichette. Il minimo comune denominatore sarebbe la mia vita.

E l'unica etichetta rimasta viva, che risplende col suo sobrio color azzurro, che m'allieta i risvegli con i suoi capelli biondi, che mi rasserena poco prima di cedere alla notte con la sua voce un po' ovattata, e che trovo sempre in alto a sinistra quando leggo righe che m'ha suggerito e altre che ho trovato da me, è però lei.

Uso i tag, e a quanto pare si tratta di etichette resistenti. Alla pioggia, al dolore ed al tempo.

giovedì 17 maggio 2012

To Rome With Love



Una coppietta di sposi di provincia, una turista americana che incontra un bell'avvocato, un Signor Nessuno colto da fama improvvisa, partner di lunga data, vecchi ricordi, apparizioni e miraggi sotto lo sfondo di Roma.

È triste vedere Woody Allen, decine di film all'attivo, uno dei più prolifici e migliori registi viventi, ridursi a girare un filmetto su Roma, in bilico tra cartolina per turisti (particolare la fotografia che riprendere i colori dell'Urbe), e scopiazzature dei suoi personaggi precedenti. Non c'è ritmo, la misantropia del regista appare più di maniera che realmente motivata e tutto procede lentamente e senza qualità. In Midnight in Paris s'era già visto qualche cedimento alle riprese commerciali, ma stavolta il danno è ingente. To Rome with Love non è un film degno di Allen. 

Davvero Benigni in mutande in Via Veneto fa ridere? Davvero le apparizioni ed i miraggi sono fondamentali? Davvero Penelope Cruz in veste di prostituta che s'è fatta mezza Roma bene è così esilarante? Davvero Eisenberg, che sembra stia ancora interpretando Zuckerberg, è così brillante? Quanto è originale aprire con Volare e chiudere con Arrivederci Roma?

Certo Allen resta sempre Allen per cui qualche battuta va sempre a segno, ma la cifra complessiva del film è davvero bassa. Woody ha sempre rifiutato di fare pubblicità, ma raramente se n'è vista di più che in To Rome with Love (compagnie aeree, marche di intimo, cellulari, pasta, sugo, automobili: c'è di tutto).

Un capitolo a parte è da dedicare al cast italiano: se Albanese si conferma sempre eccelso, dietro di lui c'è il nulla. Quando poi compare  Scamarcio in veste di ladro sexy si sfiora (e si tocca) il ridicolo.

Quel che rimane è un film a metà tra una brutta commedia dello stesso Allen ed una dei Vanzina. Poca roba.

Voto 5/10

Ps

Carino il leitmotiv della colonna sonora che ricorda un po' quello di Febbre da Cavallo.

lunedì 14 maggio 2012

Gente di Pechino



Era il '92, ed era la prima volta che andavo in Cina. Era una città in rinnovamento. C'era appena stata la svolta capitalista e c'erano cantieri ovunque. Migliaia di persone affollavano le strade. Andavano tutti in giro, non so verso dove, non so perché.

Di notte a volte tornavo tardi in hotel, e vedevo che, attorno ai cantieri, gli operai dormivano per strada, dentro un sacco a pelo. Probabilmente venivano dalle campagne e non avevano soldi per una pensione. Ma non faceva troppo freddo, anzi. Chiacchieravano tra di loro.

Poi un giorno mi fermò un cinese per strada. Aveva visto che non ero del posto e probabilmente aveva pensato di poter vendermi qualcosa. Mi si era parato davanti, con fare fiero e serio e m'aveva mostrato un foglio, scritto con pittogrammi - che io ovviamente non conoscevo - come fosse un documento della massima importanza.

"I don't know your language, sorry", ma lui non s'era scomposto. Da una tasca della giacchetta aveva tirato fuori un evidenziatore. L'aveva fatto lentamente, come se ogni mossa avesse fatto parte di un rito antico. Era giallo fosforescente. Me lo aveva fatto vedere più da vicino e poi aveva evidenziato una scritta sul foglio.
Aveva un prodotto.
Aveva la (sua) modernità in mano e cercava di rendermi complice del suo futuro.

Non comprai l'evidenziatore. Lui però non si scompose, né rimane deluso. Accettò il verdetto dell'Uomo e della Storia con una rassegnazione degna e orgogliosa.

Continuai a camminare, partecipai ai meeting di lavoro previsti per quel giorno e la sera tornai nel mio albergo.

Mi distesi sul letto: provai ad accendere la TV, ma la spensi dopo poco: era inutile cercare di capire.

E mi accorsi allora del valore differente di ogni cosa, se rapportato a persone diverse, situazioni diverse, tempi diversi. L'insignificante evidenziatore era troppo poco per me, ma molto per lui.
E lui, quel degno signore cinese che mi aveva aperto gli occhi di fronte alla difformità e l'ingiustizia umana, era tanto per me. Mentre io, nella sua storia, sarei rimasto solo l'arrogante e stolto turista che non aveva capito che il futuro era a portata di mano, in un pennino fluorescente. Già. 

lunedì 7 maggio 2012

Le lettere della precaria romana: riceviamo e pubblichiamo


Ti sei alzata e sei andata a prendere il tuo treno (sporco, in ritardo, con il controllore che ne se frega di controllare il biglietto - che tu hai pagato e paghi da anni - pieno di ministeriali che se ne fottono di fare tardi al lavoro, tanto: 1) non devono lavorare 2) hanno sindacati che gli parano il sedere 3) chi se ne importa se un ministeriale lavora o no: non c'è nulla da fare), per fare 37 km e arrivare sul posto di lavoro devi considerare un viaggio di circa 120 minuti. 18 Chilometri orari. C'è talmente tanta gente che non solo non c'è più un posto a sedere, ma è difficile persino aprire un libro. È questa l'Italia. 

Sei arrivata, ma sei nervosa perché la sera prima hai dormito male, perché ancora non sai se ti rinnoveranno rinnovato il contratto o no. Ma guadagni talmente poco che il rinnovo o no alla fine conta poco. Ovviamente non sapendo se domani avrai ancora due spiccioli in tasca non compri mai nulla. Non consumi. Danneggi l'economia. Non ti indebiti (e del resto nemmeno potresti farlo: le banche prestano i soldi solo a chi ce li ha, e possibilmente rovina chi non ne ha), e non spendi. A pranzo prendi una rosetta (30c) e due fette di mortadella (43c), più un caffè (80c). Meno di 2€. Non compri il giornale perché costa troppo (1.20€) per il tuo stipendio (c'è anche chi lo chiama, con più decenza, rimborso spese) e quindi diventi sempre meno aggiornata su come i politici ed i datori di lavoro ti stiano fottendo vita, passato, presente e futuro. Fai anche i conti su quanto costino i preservativi. Conviene comprarli? O cercare di ottenere la pillola, ma il tuo medico è contro. Vedi quel che puoi fare.

Il tuo capo coniuga a fatica il congiuntivo, ma ha un biglietto da visita da 19 parole. Tu parli 5 lingue, hai frequentato - e finito - l'università in modo brillante, ma sei ridotta all'oblio dell'ambizione. Ti trascini stancamente, file dopo file,  cartella dopo cartella, mail dopo mail, diventando sempre più sovietica: fare il minimo per ottenere il minimo. Ricordi anche di quella volta in cui proponesti al tuo prof di fare il dottorato. Vada all'estero, qui se non conosce nessuno non ha speranze.

Sul posto di lavoro cerchi di fare il meno possibile. Perché svenarti per gente che ti sfrutta, che fa soldi sulle tue capacità e non ti offre nemmeno un contratto decente? Perché dovrei essere brillante se ti pagano 3€ l'ora? Dice che il precariato motiva a dare il meglio: in te suscita solo voglia di non fare un cazzo. Così appena puoi cerchi nuove offerte di lavoro per altri posti da precario, dove magari invece che 3 all'ora te ne daranno 4. Non hai le ferie e chiedere un giorno perché tua madre sta male e deve andare dal medico è come se avessi chiesto un aumento di stipendio. Tu lo pretendi comunque, perché non svendi la tua (invisibile) dignità ad un pezzente che crede di poterne fare uso solo perché si atteggia a tuo datore di lavoro.

E sei nervosa perché sei sfruttata e allora tratti male il tuo ragazzo. E a casa rispondi in modo sgarbato. E allora ti arrabbi ancora di più. E il giorno dopo sei ancora meno produttiva. Resti precaria, ma con meno amici e meno affetti, perché la tua frustrazione si sta impadronendo della tua vita. Ai colloqui vai sempre meno motivata, e rinunci quotidianamente ad un progetto che avevi in mente sin da quando eri adolescente. Niente più viaggio a Belgrado, niente più abbonamento al teatro col tuo ragazzo, niente più indipendenza dai tuoi, niente più giro dei ristoranti etnici (ne volevi provare 1 ogni 2 settimane, fino ai 30 anni).

La sera torni stanca, ti fai una doccia e leggi un libro di Milan Kundera. Lo Scherzo si chiama. È in tema.

venerdì 4 maggio 2012

Girare la sera per Roma




Avevi finito di crederti giornalista - eri appena uscito dall'anteprima stampa di un film francese che si dava delle arie e ora dovevi scrivere un pezzo per il quale non saresti stato pagato - e t'eri diretto verso Coppedè. Davanti a te camminava un dirigente di mezza età, stranamente non intimorito dalla tua presenza veloce ed elettrica dietro di lui. Le auto tagliavano la Nomentana senza grazia, ma mantenendo un minimo di dignità: erano le 20.35 anche per loro. Tu camminavi, senza giacca, tirava un po' di vento e ti sentivi di nuovo l'affascinante straniero in città, anche se Roma era la tua di città.

Sì perché Roma per una volta non era il ritrovo dei cafoni di periferia, i meschini signori del centro e le future zoccole ora ancora in fase pre-ormonale. No, Roma stava lì, placida e mansueta: giravano in pochi a piedi e tutti con una loro invisibile dignità. Il giorno era andato, ma la notte non aveva ancora fatto il suo giro e ti trovavi sospeso tra luce che abdicava ed il buio che ancora arrancava. Roma era di nuovo città aperta, ma senza nazisti per strada.

E Corso Trieste era la via pulita della borghesia romana, alla quale non saresti mai appartenuto - se non per economia, almeno per mentalità -e che ti ricordava la prima volta in cui lei t'aveva portato fin sotto casa sua. Io abito qui t'aveva detto, te avevi sorriso in modo ebete e tenero e te n'eri andato, verso casa tua.

Stasera invece avresti suonato il campanello e saresti entrato. C'era una serata intera da passare insieme.

mercoledì 2 maggio 2012

L'omosessualità in 2 parole




Non aggiungerò nemmeno un'altra parola.

martedì 1 maggio 2012

Hunger


Storia dello sciopero della fame del 1981 di Bobby Sands e compagni, contro le politiche della Thatcher in Irlanda del Nord e le condizioni dei carcerati.

Dopo il successo di Shame (perché?) viene distribuito anche in Italia il primo film di Steve McQueen (no, purtroppo non quel Steve McQueen), nonché prima collaborazione con Fassbender, nel frattempo divenuto sex symbol un po' di tutti.

Elogi sperticati della critica nazionale e non, spettatori entusiasti, film dall'alto impegno civile e storico. Eppure. Eppure personalmente non l'ho amato. È lodevole che un film tratti argomenti come quello di McQueen e possa contribuire a forgiare coscienze e giovani. Ma l'etica non è purtroppo sempre inscindibilmente legata all'estetica.

Nel film abbondano purtroppo metafore facili (i pugni sanguinanti del carceriere sono le ferite della coscienza inglese), dialoghi didattici un po' troppo schematici (la bella lunga sequenza tra Sands ed il prete), scelte a favore di un lirismo da quattro soldi (i flashback sull'infanzia, gli uccelli che volano via) non esattamente proprie di un film d'autore.
Di più, non riesce a svilupparsi empatia con i personaggi, e si resta distaccati dalle vicende, senza il necessario coinvolgimento emotivo. Si ha ovvero l'idea di guardare un documentario mal girato. Persino la morte di Sands ha un ché di liberatorio.

Certo alcune sequenze sono di forte impatto (i pestaggi, l'usare gli escrementi come protesta, la voce [reale] della Thatcher in alcune scene), il rapporto con la fisicità dei personaggi è ben sviluppato ed il film è certamente migliore di tanti altri che si vedono in giro, ma il duo McQueen/Fassbender si ripropone come coppia più sopravvalutato degli ultimi anni.


Voto 6/10

Ps

Il mio personale consiglio sul carcere e le lotte IRA/UK rimane Nel nome del padre.

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