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mercoledì 31 agosto 2011

Estômago



E' un film sui sapori, sulle donne, sul potere, sull'astuzia e la follia. Sull'amore, per certi versi, la passione ed il tracollo. Passa da commedia neorealista, a grottesco, da film d'amore a horror, da dramma carcerario a celebrazione dell'astuzia umana. Certo. Ma Estômago, film italo-brasiliano ambientato nella splendida Curitiba (pare sia una delle più bella città brasiliane, ma non ci son mai stato), è sopratutto un affresco, almeno nella prima parte, del Brasile attuale. Le padarie, un misto tra bar, bistro, tavola calda e ristorante; i prodotti tipici (coxinha, pasteis, pinga), il mercato comunale nei vecchi edifici stile anni '20: un insieme di cose che si trovano solo lì, in Brasile. E la lingua portoghese (brasiliana) così ricca di sfumature, così melodica e perfetta nei suoni e negli accenti. Estômago è un po' tutto questo. E' un film che m'ha riportato ai miei trascorsi nel paese verde-oro, tra abbuffate di fritti, birra al posto del vino (impossibile trovarne!), uscite notturne tra paura e fascino, Romeo e Giulietta (goiabada com queijo), progetti abortiti, e giorni ormai lontani.

Come sale nella gerarchia sociale un povero campagnolo senza istruzione e senza soldi? Attraverso la cucina. Sia nella vita civile che in quella in prigione. Cucinando, Raimundo Nonato troverà la sua via (brasiliana? italiana?) verso il successo. Certo il Brasile non è solo quello delle spiagge di Rio, della bonarietà dell'uomo comune o delle splendide vie di Curitiba. E' anche miseria, ignoranza, violenza. Ma Raimundo, pur rinunciando ai sogni di gloria pubblica (alla fine del film capiremo perché finisce in prigione), usa la sua furbizia, oltre al suo talento per migliorare costantemente le proprie condizioni, ovunque si trovi. E' anche un interessante affresco (seppur non particolarmente originale) sul tradimento nei rapporti umani, e l'inaffidabilità: tutto è mosso dal potere, e dalle sue regole.

Voto 7

Ps

Simpatico l'omaggio a Paolo Rossi ed i tanti modi di storpiare Boccaccio.

lunedì 29 agosto 2011

Non avrei dovuto commentare



Non sapevo se dovevo aggiungere un commento alla vignetta che avevo appena rubato.

Sì, c'è tutta la corrente di post-sensibili della minchia che amano dissertare sul fatto l'amore sia anche sofferenza, la passione gelosia (le persone gelose per quanto mi riguarda sono solo persone che non hanno stima di sé stesse), la coppia dolore, sia normale e persino salutare litigare, le notti in bianco con il fegato sanguinante siano solo una normale conseguenza dell'essere innamorati. Che il termine di un grande amore, alla fine, è una cosa positiva per la crescita personale. Che avere voglia di buttarti sotto alla metro è una cosa che aiuta a maturare.
E' così che vanno le cose, quando crescerai capirai.

No. Non capirò nulla. Sono rimasto con il cervello che effettua connessioni troppi semplici. Sono rimasto arretrato nel corso degli anni. Ho i neuroni che funzionano come quelli di Charlie Brown. Sono rimasto così indietro che penso ancora una storia d'amore debba portare solo gioia e che i momenti bui non siano una normale conseguenza, ma qualcosa che non funziona. Sono rimasto idiota e quindi trovo strano considerare come amore quella cosa appiccicosa, piena di astio, indifferenza, sesso scadente, convenevoli sociali che vedo attorno a me.

Sono rimasto a Charlie Brown, dove amore era semplicemente abbracciarla e darle un bacio, ogni 3 minuti perché altrimenti mancava il respiro. E lei questo lo capiva e allora non mi tormentava con inutili cattiverie per dimostrare a me ed a sé stessa la propria forza, no. Si limitava a pormi il collo, dicendomi solo: "dai, ancora un altro."

Ma son rimasto come Charlie Brown. Linus s'è portato via la coperta, il bus N.52 l'amore, ed il passato il futuro.

venerdì 26 agosto 2011

Il pinguino post-sociale




Non m'ero accorto d'esser diventato un pinguino. Eppure camminando per le vie di Roma, pareva tutto uguale intorno a me: le stanche risa delle donnine sceme, la voce volgare degli adolescenti, l'insolente arroganza dei 40enni e la mia lugubre figura riflessa nell'acqua della Fontana de' Trevi. Provavo, certo, a sfuggire in modo subdolo e capace, ma non c'era nulla da fare: le facce erano sempre le stesse. Svoltavo una via a destra, e poi passavo attraverso un  vicolo sporco e male illuminato, fino a giungere davanti ad un bar di quartiere con avventori stanchi e sconfitti (senza che lo sapessero). Potevo giusto prendere una chiara grande, aprire il libro di Saramago che tenevo in tasca, e leggere le parole, in alto sulla pagine di destra. Mi restava solo questo. Era pur meglio di niente e da qualcosa bisognava pur cominciare.

martedì 23 agosto 2011

Martedì pomeriggio


C'era Pessoa che rideva beatamente, per una volta, con tutto sé stesso. Il ciclista aveva imboccato uno dei tornanti della penultima salita e aveva ancora forza nelle gambe. I due ragazzi si stavano baciando, in modo appassionato, e quindi drammatico, alla stazione, malgrado il treno non sarebbe partito prima di altri 13 minuti. Il botteghino del cinema in lingua francese di Monaco aveva venduto solo 7 biglietti per lo spettacolo pomeridiano. La ragazza che lavorava alla Standa non aveva ancora trovato il coraggio di dichiararsi al bel giovane che ogni giorno sedeva in fronte a lei, durante il viaggio per andare al lavoro. Erano finiti gli sconti del 40% su Amazon. Un cane scodinzolava mentre un vecchio cercava di capire dove quando lo avessero fottuto. Vecchi leader comunisti continuavano a giacere sotto terra, Twitter pullulava di notifiche, e le strade di San Diego non erano mai state così piene di vita. Una ragazza si chiedeva cosa stessa facendo il suo ex in quel preciso istante, non sapendo che era proprio ciò che si stava chiedendo l'ex a proposito di lei. La borsa andava male ed un attimo dopo, bene. Era finito il tempo delle certezze: fuori non c'era vento.

venerdì 19 agosto 2011

Isn't me


Non sono la persona giusta se cerchi una persona con la quale parlare. Non ti sfogare con me, io non posso capirti. Io vedo solo me stesso. Non per egoismo, ma per incapacità. Non mi telefonare se vuoi un amante sobrio, e non mandarmi sms se vuoi un amico di letto sempre attivo: sono inadatto ad entrambi gli scopi. Non mandarmi un'email se vuoi dialogare, io non parlo né la tua lingua, né quella di nessun altro. Neppure la mia. Non mi contattare se vuoi una serata divertente: non sono in grado di fornirtela. Non posso farti piangere e non posso farti sorridere, non sono abile a cambiarti né nel bene, né nel male. Vivo d'una luce opaca che solo alcuni animali moribondi riescono a vedere, ma che non riescono a capire. Non è colpa loro. Non mi proporre una birra: le ho già bevute tutte nella mia esistenza passata. Non ho più tempo per provare, andare, tornare, fare, diventare. I secondi mi sono sfuggiti dalle mani, e non sono più stato in grado di riprenderli. Non mi guardare, i tuoi occhi ti direbbero qualcosa di sbagliato e falso. Non sono io la persona che è di fronte a te, non sono io che ti parlo, non sono io con cui discuti. Io sono trasparente e vago per le vie tedesche in piena notte. Metto un passo di fronte all'altro, mentre il mio spettro ride tra la gente in un pub di Roma.

sabato 13 agosto 2011

Il valzer degli addii


In realtà, quando le dissi: "ok, goodbye A., stay fine", non pensavo sarebbe stata l'ultima volta in vita mia che ci saremmo visti. Anzi, immaginavo (speravo) che il giorno dopo lei apparisse alla Hauptbanhof correndo e piangendo, dicendomi: "don't go, sorry for everything, just stay with me." Ma non venne: il treno partì, mi sedetti di fronte ad una coppia di 60enni tedeschi che si stavano recando nella bassa Baviera, e lasciai che le rotaie inghiottissero il mio mancato futuro. In realtà, non appena tornato in Italia, pensavo ancora che sarebbe apparsa. Sempre a mo' di film, una cosa tipo che scendevo per strada a comperare la Repubblica e me la ritrovavo davanti, sempre piangente ed implorante. C'ho sinceramente sperato per settimane, mesi. In realtà ci spero ancora adesso, ma senza parvenza di razionalità. E' un pensiero, quindi, fuori luogo, impuro. In realtà, mentre scrivevo sceneggiature d'amore a lieto fine sulla mia vita, lei si stava probabilmente sbattendo un altro. E' buffo, si parla d'amore solo quando ci si riferisce alla propria coppia. Noi si fa l'amore, ma gli altri scopano, vengono sbattuti, trombano. Si ama. Gli altri passano il tempo. L'enfer c'est les autres, diceva lui. Ecco come usare una citazione a sproposito. Ma, del resto, da chi vive a sproposito come me, ci si può aspettare frasi fuori luogo ed inutili.
Insomma, non pensavo sarebbe stata l'ultima volta, l'ultimo sguardo, quando il bus 52 la portò via. Pensavo le cose sarebbero tornato a posto. Anzi: pensavo avrebbe capito, folgorata sulla via di casa, che non avrebbe mai potuto ambire a qualcosa meglio di me. Ma la vita, ci rimette spesso al nostro posto. In modo cattivo, dogmatico, violento, comunista. Ed io, purtroppo, non ebbi diritto ad un trattamento di favore. L'ultima volta che ci vedemmo non pensavo sarebbe stata l'ultima. Ed invece, lo fu.

martedì 2 agosto 2011

Il passato è una terra che conosco bene


La maturità implica poter guardare al passato con fermezza e raziocinio. L'età adulta porta con sé il dover affrontare il proprio passato in modo serio, permette di affrontare le proprie vicissitudini in modo globale. Gli anni che passano permettono di guardare lei, la persona con la quale hai dormito, nonché tua mancata moglie (sembra così freddo e meccanico a scriverlo così, quasi fosse l'agonia di un regime socialista nella seconda metà degli anni '50), la persona alla quale avevi deciso di dichiararti, senza usare elmi e protezioni - per un volta- , gli anni che passano, insomma, ti dovrebbero permettere di parlarle e osservarla, di accettare una telefonata o una email, di ricambiare uino sguardo, o sopportarne la felicità nella tua assenza.
Il passato è una terra straniera, ha scritto qualcuno, ma per me rimane una terra conosciuta e vivida, una terra battuta e arsa da un dolore clinico e programmatico. Un dolore burocratico. Allora, no, non posso affrontare alcun passato, alcun viso accarezzato nelle notti tedesche, alcuno sguardo intravisto tra gli scaffali della librerie di Monaco, alcuna gamba sfiorata nelle piscine fredde e gioiose. Non posso combattere con il passato perché è un nemico troppo grande per me. Perché conosco i miei limiti.
Il passato è una forza insormontabile per le mie pur forti braccia e per la mia pur sarcastica e brillante mente. Il passato mi affonda, senza che io possa chiedere aiuto: non  ho voce ed è notte e la città è vuota: i vecchi dormono, le donne pensano ai loro mariti scomparsi nella nebbia dei bistro, i bambini sognano giocattoli di legno, ed io strillo, con tutta l'energia che ho, ma nessuno può sentire, il passato copre le mie algide corde vocali e vado sempre più giù, in fondo all'Oceano Pacifico: è giusto che io affoghi lì. Il passato è troppo grande per me, e allora dedico di non affrontarlo. Preferisco nascondermi, come un ratto austriaco durante le guerre napoleoniche, come il giusto durante l'avanzata nazista a Stoccarda e come uno studente mediocre durante una riunione politica. Il passato è di ferro ed io ho in mano solo carta umida, meglio desistere, per ora.

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