E’ ancora lì sul divano che mi guarda senza attenzione (sta pensando a
quanto è bello farsi accarezzare dalla padrona) e mi sento un groppo in gola e
gli occhi che diventano lucidi. E devo fermarmi perché lei capisce e non deve
vedere tristezza negli occhi degli altri. Non deve percepire nulla. E’ ancora
lì, ora ha appoggiato il muso su un cuscino (l’intero divano ha quell’odore di serenità
stanca e sempre presente), e io devo distogliere lo sguardo, inventandomi
qualcosa da fare: una vita a pensare ad altro pur di allontanare i colori dei
presagi di abbandono. E’ ancora lì,
sonnecchia, mastica qualcosa di immaginario (ma in maniera molto soddisfatta) e
c’è lo starnuto malefico che ti ricorda che l’orrore è sempre lì, sempre
intorno a te e se ne frega di quell’ecosistema e di quell’equilibrio che hai
creato non intorno a lei, ma con lei. Hai preso un libro in mano, la guardi con
la coda dell’occhio mentre scorri le righe una dietro all’altra. Non ti viene
più da ridere, non hai più desideri, ti stai scolpendo in fronte con un
martello sporco ogni regola che hai cercato di dimenticare per 20 anni. Poi ti
alzi e ti fai un caffè. Lei dorme e tu chiudi gli occhi.
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