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lunedì 30 aprile 2012

Presidenziali francesi



Dopo il primo turno delle elezioni Presidenziali Francesi, s’è letto, soprattuto in Italia che i risultati avessero confermato la grande “voglia di destra”, francese e quindi, per l’occasione, europea. Tralasciando il fatto che la Francia è sempre stata vista dai politici di destra nostrani con una certa diffidenza (i cattivi rapporti Berlusconi - Chirac, e Berlusconi Sarkozy sono storia), e che oggi questi stessi politici esaltano invece il risultato elettorale francese, ciò che appare sconcertante è l’approssimazione dell’analisi dei dati elettorali e di quelli politici.

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Dopo i primi exit poll che la davano oltre il 20%, la Le Pen si è attestata su un dignitosissimo 17,9%. Nel 2007 il padre aveva raccolto il 10,4% dei suffragi, nel 2002 il 16,9% (Mégret, altro esponente della destra 2,3%), nel 1995 il 15%. Il dato quindi, seppure ottimo, non appare così elevato se confrontato con quello degli scrutini precedenti. Conferma ovvero una tendenza oramai ventennale del corpo elettorale francese al primo turno delle presidenziali.

Ciò che andrebbe però sottolineato è che il sistema elettorale francese per l’elezione del Presidente della Repubblica non ricalchi in nulla quello italiano, tedesco o anche americano

Nello specifico: è a doppio turno ed a suffragio universale. Cosa vuol dire? Che tutti i cittadini hanno diritto di voto e che al secondo turno accedono i due candidati più votati, qualora nessun candidato ottenga il 50%+1 dei voti espressi al primo turno.

È un sistema che porta in modo
naturale al voto di protesta, basta vedere negli anni gli score dell’estrema sinistra (sempre attorno al 10%) , oltre che dell’estrema destra. È, insomma, un voto molto libero, poiché raramente decisivo.
Mai nessun candidato nella Quinta Repubblica (1958) ha vinto al primo turno, eccezion fatta per De Gaulle, nel 1958 (e l’elezione, allora, non era diretta).
L’elettore, avendo due turni a disposizione è quindi naturalmente portato a votare, al primo turno, specie negli ultimi 20 anni, per candidati anti-sistema o comunque fuori dal binomio classico PS - RPR (ora UMP, i gollisti). L’affermazione elettorale di personaggi come Le Pen, Mélanchot non ha in sé nulla di particolarmente sconcertante o nuovo.

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In merito al dato politico preme accertare che la cosiddetta voglia di destra francese, tanto sbandierata in Italia non sia un dato poi tanto importante per il nostro paese. Tralasciando nuovamente il fatto che la Francia sia un paese che ha storicamente sempre votato a destra (ancora: dal 1958 in poi c’è stato un solo Presidente socialista, Mitterand, sulla cui unicità politica e carismatica è inutile discutere in questa sede), ciò che alcuni commentatori e politici italiani hanno volutamente ignorato è il fatto che sia inutile mettere a confronto i risultati del FN con quelli, ad esempio, del partitino di Storace o di movimenti più estremi (Fronte Nazionale. Forza Nuova, etc...). Le istanze della Le Pen, al di là delle provocazioni di facciata per ottenere qualche voto in più, sono infatti ben più vicine a quelle della Lega e di  una parte del PDL, che non dei movimenti neofascisti o di estrema destra italiani.

Il baricentro della politica italiana (ed il corpo elettorale) è infatti così spostato a destra che un partito come il FN non starebbe idealmente alla destra della (ex) coalizione PDL-LEGA ma vi si troverebbe completamente all’interno. Ovvero, l’elettore medio  leghista e parte di quello PDL è potenzialmente un elettore del FN francese ben più che di Sarkozy. Negli anni, la Lega ha coltivato a livello internazionale buoni rapporti con l’FN, mentre risultato inesistenti quelli con l’UMP. Ed è inutile ricordare in questa sede i successi elettorali strepitosi della Lega e del PDL (e di FI e AN, ovviamente) negli ultimi 20 anni.

Il dato francese quindi, non appare né particolamente nuovo sul piano numerico (come al solito l’FN ha preso intorno al 15% al primo turno, come al solito eleggerà al massimo 2-3 deputati alle politiche), né su quello politico se paragonato all’Italia (la Lega, al di là delle imprevedibili conseguenze elettorali degli ultimi scandali, si attesta da anni su valori poco al di sotto dell’FN francese, ed in elezioni
politiche).

Ciò che è certo che al termine del primo turno della presidenziali francesi vi sia stata una corsa all’accaparrarsi il successo (PD su Hollande, SEL su Mélanchot, Destra su FN, etc...) abbastanza fuori luogo, e che la faziosità di alcuni politici a
bbia sfiorato, nell’occasione, il ridicolo.

martedì 24 aprile 2012

Cronache da Belgrado



Stavamo a Belgrado. Facevamo solo viaggi non eccessivamente convenzionali (Belfast, Breslavia, Cracovia), non tanto per darci un tono, quanto perché così eravamo sicuri di evitarci orde di turisti scemi. E vedevamo città diverse dalle solite. Nel caso di Belgrado, brutte.

Già, l'ex capitale della Jugoslavia ricordava più i sobborghi di Istanbul ed i quartieri del centro di Atene che le altre città dell'Est Europeo. Vabbè: questo non ci interessa poi tanto. Nel corso dei 4 giorni passati in Serbia avevamo appurato che:

  • I serbi amavano mettere poliziotti ben armati ogni 10 metri;
  • Gli stessi poliziotti amavano guardarti in modo poco friendly;
  • La cortesia non era generalmente di casa (salvando però un povero impiegato del ministero delle poste che in un inglese pre-approssimativo si era dannato per indicarci dove poter trovare l'ufficio postale più vicino - a Belgrado gli uffici postali sono invisibili -);
  • Dire "three hundred" era un'impresa complessa per l'autista dell'autobus:
  • Anche lì i turisti italiani erano un bel mix di coattume, stupidità, voglia di figa in offerta e ingenuità;
  • Chiedere aspirine pareva equivalere a parlare dei crimini di Milosevic;
  • Gli abitanti del posto correvano tutti in modo strano;
  • I serbi forse non adoravano gli altri esseri umani, ma amavano invece i loro cani.

La GF era ancora più turbata di me. Le vie slave, ed i cibi locali avevano avuto l'effetto dirompente di modificarle il funzionamento dei neuroni. Nel giro di pochi giorni ero riuscito a beccarmi del "vecchietto raccapricciante" e del "solito sfigato". 
In compenso io affondavo la lama nelle sue carni: era persino troppo ovvio farmi burle di lei e del suo modo personale ed intimistico di recensire i posti su TripAdvisor: "è il posto che mi è piaciuto di più", "qui la carne è DAVVERO buona". O del modo tutto suo che aveva di dirmi: "non sono per nulla stanca", per poi addormentarsi vestita su una poltrona, mettendo in dubbio la mia (antica) virilità al risveglio.
A colazione oramai si riempiva piatti giganti di cibo, incolpandomi: "eh, ma ho visto che ti prendevi un sacco di roba, poi ti credo che lo faccio anch'io!".
Tra l'altro le sue interminabili sessioni di trucco e la presenza della TV via cavo, mi avevano permesso di diventare, nell'ordine:

  • Dottore in malattie ossee;
  • Esperto delle cause degli ultimi 20 disastri aerei;
  • Patito di cucina sudamericana;
  • Abile nel cacciare marmotte nel deserto messicano;
  • Padrone della tecnica del ricamo;
  • Cultore dei reality show americani pieni di zoccole.

Ma poi dopo un po' usciva sempre, bella, sorridente e diversa e potevamo infine camminare. Di lì a poco mi avrebbe scritto una dedica sul libro di Bukowski che mi aveva comprato. E saremmo tornati a casa insieme, tenendoci per i mignoli.

Di quel panzone italiano di mezza età, che seduto ad un tavolo di fronte a noi in un ristorante, aveva parlato (in un linguaggio che era un mix di napoletano e romano intriso della salsa dell'analfabetismo) mezz'ora al telefono di caponata e del piacere intenso che la defecazione provocava in lui, avrei scritto un'altra volta.

giovedì 19 aprile 2012

Riceviamo e pubblichiamo: Un ricordo di Breslavia



Ripensavo al Kurna Chata, quel ristorante carinissimo con l'arredamento artigianale dove andammo la prima sera a Breslavia.

Stavo ripensando al fatto che c'era una coppia vicino a noi, nella parte rialzata, una coppia ancora nella fase pre-contatti fisici, solo nella fase di conoscenza.

Lei era polacca, lui mi sembrava avesse un mezzo accento italiano (si sentiva poco, l'inglese lo sapeva bene), e pure di aspetto mi sembrava italiano. Non era uno di quegli italiani beceri che si vedono all'estero, era un tipo a posto, era educato, gentile con la ragazza senza il servilismo un po' piacione e ostentato di chi vuole farsi una tipa, aveva la faccia da bravo ragazzo. Insomma, uno di quelli che già alla prima occhiata ti ispirano fiducia, ti sembrano brave persone.

Mi ricordo che ero tanto felice di stare lì, eravamo in una città magica, in un posto adorabile, e mi ricordo distintamente di aver pensato che speravo che anche a quella coppia le cose riuscissero ad andare bene, che riuscissero a trovarsi, ad essere felici, ad avere un po' di serenità. 

Speravo che lei non fosse bloccata da qualche stereotipo culturale, né che fosse un'arrivista pronta a lanciarsi sul primo straniero promettente, e speravo che lui avesse valutato bene la persona che aveva di fronte, e che potesse tornare a casa e chiudere la porta con un sorriso sulle labbra e la voglia di rivederla.

lunedì 16 aprile 2012

Diaz - Non pulire questo sangue




Cosa successe durante il G8 del 2001 a Genova. Come e perché si arrivò all'assalto della Scuola Diaz e alle torture della caserma di Bolzaneto.

È un film horror, non un drammatico. È difficile da digerire, pensare che tutto ciò sia avvenuto nella civile Italia, nel belpaese solamente 10 anni fa. La banalità del male mostrata, ricorda quella dei nazisti (le croci segnate col pennarello sui volti dei prigionieri), del processo ad Eichmann, delle dittature sudamericane (come mostrato nell'intenso Garage Olimpo), dei fascisti di Salò (vedere, in merito, lo straordinario film di Pasolini).
La vera anarchia è quella del potere, che tutto può.

Poliziotti alternano telefonate alle fidanzate in cui progettano l'acquisto di un biglietto per il concerto di Ricky Martin, ai pestaggi ed alle torture più efferate. Senza che ve ne sia motivo alcuno.

"Io i miei non li reggo più" dichiara un comandante della polizia ad un altro, alludendo alla voglia di menane le mani. Perché, vien da chiedersi? Perché tanta voglia di sopraffare, dando sfogo ai più bassi istinti (in)umani?  

Vicari ha il grande merito di non ridurre tutto al filmetto manicheo tra buoni e cattivi. Non esista a mostrare in apertura le scorribande dei black bloc (o chi per loro), non presenta una serie di manifestanti altamente morali, indugia persino su qualche poliziotto meno peggio degli altri. Ma non targiversa nel mostrare l'efferatezza delle scorribande compiute dai poliziotti. Non si gira dall'altra parte quando c'è da mostrare con l'indice il comportamento disumano di medici e carcerieri nella caserma di Bolzaneto. Non omette le scandalose manipolazioni compiute dalle persone in divisa.

Alcuni avranno certamente notato la totale assenza dei politici e della politica nel film. Eppure Berlusconi era lì, Fini in questura, Castelli, si dice, in caserma. Non credo sia stato un caso voler glissare sui nobili rappresentanti del popolo: Vicari punta prima di tutto sulle certezze (la sceneggiatura è tratta in parte dalle sentenze della magistratura) e non vuole che il film perda la sua aura di credibilità a favore di un incerto (almeno giudiziariamente) complottismo. Non deve essere un film sulla strategia della tensione, in cui ci sono mille indizi e zero prove, ma una denuncia seria, documentata, certa. Meglio a questo punto sottrarre (come è stato fatto) pur di poter rivendicare la totale certezza e veridicità di ciò che è stato mostrato.

Inoltre i politici avrebbero compromesso uno dei messaggi profondi del film, e cioè mostrare la cattiveria umana. L'insensibilità, la natura del branco, la crudeltà fine a sé stessa. Vedere in azione decine di esseri umani che si appropriano della dignità di altri per il puro gusto della bestialità, è un'esperienza che parla da sé, che non ha bisogno del corollario dei politici.

Può il valore di un film prescindere dalle sue qualità artistiche? Probabilmente no. Ma il film di Vicari è comunque di buona qualità. Va quindi visto non solo per "il piacere degli occhi", per il gusto della fiction e per tutte le solite motivazioni che ci portano in sala, ma anche per informarsi. Per mantenere lucida la memoria storica. Per rinsaldare la propria vocazione all'indignazione civile. Per continuare ad essere compiutamente cittadini.

Voto 7/10

giovedì 12 aprile 2012

Lo Scherzo


Avevo una relazione duratura con le mattonelle del piazzale della metro. Mentre aspettavo lei arrivasse dai suoi eterni ritardi, calcavo quei pavimenti con insistenza, su e giù. Riscuotevo sguardi caritatevoli, ammiccanti ed impietositi.
Pioveva. Roma - stupenda e misera città come diceva il poeta - era indolente, cinica, fintamente auto-ironica e sardonica quando splendeva il sole. Ma nei giorni di pioggia, in cui il grigio la faceva da padrone, diventava cattiva, priva di interesse, vendicativa. Senza il fascino di una città del nord, abituata alle intemperie e le mancanze di rispetto del clima. Roma grigia era la dimostrazione che anche le cose che andavano male, potevano sempre peggiorare, da un secondo all'altro.

***

Dopo aver visto il film, l'avevo salutata. Mosso dal rimorso e dalla voglia di girare la personale scena di un film, ero corso nel sottopassaggio della metro, per emergere dall'uscita sul lato opposto della strada, nella speranza di trovarmela davanti ed abbracciarla, quei 3 secondi in più che avrebbero fatto la differenza nel corso degli anni. Avevo aspettavo qualche minuto senza trovarla: evidentemente aveva preso un'altra strada. La scena del film era stata certamente girata, solo che da commedia brillante con lieto fine, s'era passati a film cupo e drammatico polacco degli anni '60.

***

C'era la solita calca alla banchina dell'autobus. Resti di esseri umani, spolpati dall'altrui inciviltà - e dalla propria - si affannavano per trovare un posto a sedere sul mezzo che li avrebbe portati a casa. Non c'era nulla di felice nel tornare a respirare in quelle quattro mura infami, ma a volte anche lo squallore riesce ad infondere calma e sicurezza quando è ripetuto in modo costante.
Al mio fianco era salita una ragazza. Aveva in mano un libro. Era L'insostenibile leggerezza dell'essere, di Milan Kundera. Io invece avevo Lo Scherzo. S'era seduta davanti a me, cercando di ostentare il testo affinché lo notassi e magari attaccassi bottone. Normalmente avrei soddisfatto un po' il mio ego dicendole qualche scemenza, ma non ero dell'umore giusto. Lei dopo 20 minuti aveva rinunciato e riposto il libro nella sua borsa. S'era messa ad ascoltare musica. Io pur di fare la figura di quello superiore ed impegnato m'ero messo a leggere in viaggio, cosa che non tolleravo da anni e contribuiva solo a causarmi mal di testa. Ma l'etichetta imponeva sacrifici a volte.

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Dopo un po' ero arrivato a casa. Le prime 50 pagine dello Scherzo parlavano di un giovane cecoslovacco in grado di muoversi sul palcoscenico sociale con diverse maschere. 

martedì 10 aprile 2012

Giorno di festa



Era giorno di festa e allora la metro era più sporca e vuota del solito. Lei era appena andata via. M'ero seduto su una dei sedili di Policlinico (sì, quella stazione completamente interrata, triste, buia, costruita come fosse l'avanguardia moderna d'un paese del terzo mondo degli anni '40), accanto a due straniere. Parlavano inglese, avevano calze a coprire le loro gambe scoperte in un modo un po' ridicolo e troppo sincero.

Il convoglio era arrivato. Era di quelli nuovi, che già stavano diventando vecchi. Era un giorno di festa e allora dentro non c'erano lavoratori stressati, studenti fuori corso, e ragazze ancora inconsapevoli d'essere rimaste incinta la sera prima nel parcheggio accanto a casa ("sì, usa pure quello, la sera è vuoto e non ti vede nessuno, stai tranquilla, io ci sono stata con Marco 3 sere fa"). C'erano solo stranieri, zingari a chiedere l'elemosina in modo distaccato, quasi fosse un noioso adempimento burocratico, qualche vecchia finita lì per caso e bori di periferia finita in gita in centro.

M'ero seduto e le due inglesi s'erano messe accanto a me. Di solito avrei pensato che l'avessero fatto di proposito, ma stavolta, sentitole ridacchiare come 2 sceme, m'ero convinto che non c'entrassi nulla. Il caso aveva voluto così. Mentre pensavo ai cazzi miei m'ero accorto che la puzza era diventata più insostenibile del solito (lavarsi, nel 2012 era diventato un optional per italiani e stranieri, la manutenzione del mezzo pubblico una pretesa da comunisti giacobini), e che davanti ai miei occhi erano seduti 2 rifiuti periferici. Uno eroabiondo tinto, indossava una maglietta con su scritto "Magliana Criminal" e aveva dei jeans chiari sgarati e bucati di fabbrica qua e là. L'altro una felpa con il logo enorme di una marca. Entrambi avevano facce da tonti, violenti ed ignoranti. Le pettinature riflettavano il vuoto cosmico che probabilmente abitava il loro cervello. Dovevano aver pensato, almeno inizialmente, fossi amico delle inglesi, ma poi avevano evidentemente cambiato idea.

Ao hai visto quee due?
Chi?
Questa qua davanti
Anvedi che spacco, che sorche
Ao ma che noe senti che parlano strano
Nzo italiane
So nglesi
Ao come se dice leccame er cazzo ninglese?
Eddaje nun fa lo stronzo, avvicinamose
E chi a parla quaa lingua
Daje je dimo du cose e è fatta, so nglesi
Si ce stanno ste due gia meo sento
Hai visto camo fatto bene de pia a metro


Le due s'erano accorte della presenza dei due morti viventi, ma non avevano dato pesa alla cosa. Anzi sembravano divertite. Era una situazione che nel migliore dei casi si sarebbe risolta con una scopata squallida e sporca (sporca nel senso igenico del termine), nel peggiore come un fatto di cronaca nera. Comunque ero arrivato a Termini, dovevo scendere. Addio inglesine, che la sorte sia con voi.

Ero uscito dalla stazione metro e m'ero diretto alla partenze ferroviarie. Il mio treno aspettava sul suo binario. Era sporco. I sedili erano così stretti che non era possibile sedersi uno di fronte all'altro senza toccarsi le ginocchia. Il riscaldamento era al massimo, malgrado fuori ci fossero 15 gradi. Davanti a me c'era un'allegra famiglia di polacchi. Non capivo cosa dicevano ma doveva essere stata una giornata felice. Io sudavo.

Dietro di me c'era un gruppo di 17enni. Una si lamentava del fratello che non capiva un cazzo. Un'altra che il padre le rompesse troppo i coglioni. Una terza aveva imprecato al telefono in modo così violento che non avevo capito se le maledizioni fossero rivolte ad un ipotetico ragazzo (chi se la sarebbe mai scopata un'isterica simile?), sua nonna o un antico maya venuto a farle visita a casa.

Sticazzi.
Il treno era partito. M'ero messo a leggere Il Giardino delle bestie. A breve sarei tornato a casa, anche se sulla via della stazione i lampioni erano oramai rotti da mesi. Poco male, era stata una giornata di festa.

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