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venerdì 3 giugno 2011

Traumen


Succedeva che sognavo. Purtroppo chiudevo gli occhi e perdevo il controllo della mia malinconica razionalità. Sognavo e non riuscivo più ad influenzare le decisioni del mio cervello moribondo. Sognavo. Fino a qualche anno fa riuscivo persino a sognare cose positive. Insomma, davo al verbo "sognare" la sua accezione migliore: vedere cose agognate, realizzare situazioni sperate. Ma oramai "sognare" era diventato solo un verbo privo della sua componente gioiosa e ludica. Sognare era solo l'apparizione di cose irreali mentre ero in fase rem. E allora cosa succedeva? Succedeva che la mia mente era in grado di produrre solo cose orribili. Quando sognavo A., e la cosa accadeva non di rado, non era mai negli antichi contesti felici: non era mai per le strade austriache a scambiar baci di notte, sulle spiagge brasiliane a fare gli idioti o nelle piazze tedesche a bere birra finché eravam in grado di camminare. No. Non eravamo mai una coppia. Erano solo sogni atroci. Eravamo sempre già separati. Ero già morto, insomma. Ero già sepolto sotto decenni di polvere emotiva. Lei era sempre bella, perfida e traditrice. Io ero sempre incapace di agire, ironico e perso. E il sogno andava avanti. La lama si insinuava con leggerezza comica nel mio povero stomaco. Cadevano a terra le gocce di sangue. I passanti le calpestavano. La gente umilia sempre il sangue altrui. La gente non capisce. Ed io, vivevo il momento dell'apertura degli occhi, come la liberazione. Sì, potevo tornare a patire da sveglio. Avrei almeno deciso qualcosa.

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