Per anni quando dovevo pensare al Male immaginavo Pinochet,
lo stadio di Santiago, i militari, le mani di Victor Jara. Pensavo al sorriso
crudele della dittatura, al cemento, alle botte. Pensavo a quegli anni in cui scrivevo la tesi (due vite fa, ai libri che leggevo sui massacri, ai film).
Da qualche tempo invece il Male si è trasfigurato nel volto
di Bolsonaro. Il male è l’omofobia con la quale insulta il deputato brasiliano omosessuale,
le parole con le quali mistifica una dittatura balorda, il modo di porsi
rispetto alle istituzioni politiche ed umane, quel ghigno di merda quando di
esprime, l’amore per le menzogna, per il raggiro del debole, la totale mancanza
di empatia verso le vittime dei suoi crimini rispetto alle Verità durante la
pandemia. Quando apro la Folha e leggo il suo nome segno quella piccola fitta
di disgusto nello stomaco, forse la associo ai miei ricordi delle settimane
passate lì (chi era presidente, o Gino?), forse la collego ai mali del
mondo, ai porci fascisti verdi italiani, a Orban, a qualsiasi cosa non sia
progressista ed empatica. O forse divento solo più vecchio, meno interessante,
più astioso verso i livorosi.
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