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sabato 25 gennaio 2014

La pepiera da riempire





Avevo una grande parete bianca. L'avrei avuta a breve. Avrei potuto cominciare a scriverci sopra, incollarci biglietti aerei, conti di ristorante, mappe di città viste una volta, disegni fatti male, liste dei film che avevo visto. Era bianca, quindi andava riempita con qualcosa. No, alla fine ci sarebbe andata una libreria (quale?), che avrebbe ospitato i libri letti, quelli da leggere, quelli comprati che non sarebbero mai stati aperti.
Non avrebbe ospitato ricordi: non si poteva.

Era un triste destino il loro, in un film (o era un libro?) appena visto, uno dei protagonisti spiegava gli anni che passavano in modo elementare (no, l'ho un po' modificato): la prima parte della vita accumuli ricordi, nella seconda rivivi ciò che hai accumulato. Quindi la vita, gli anni, l'esistenza ruotano tutto attorno alle memorie, gli istanti carpiti, le cose vissute ed immagazzinate. Ma non potevi tenerli tutti: come ogni cosa per mantenersi vivi avevano bisogno d'essere coccolati. Evocati, discussi, citati, persino modificati. Ma non abbandonati del tutto, in fondo a scatole, vecchie email, cassetti.

Io ero arrivato oramai agli anni avanzati della giovinezza (insomma: non ero più giovane, benché rimanessi sempre un ragazzo) e m'ero reso conto che intere fette di ricordi, erano sepolte, per l'impossibilità di farne alcunché. Non potevo discuterne con nessuno.
Quante volte avrei voluto che A., fosse stata ancora viva, solo per dirle: 'ma ti ricordi quella sera? Eravamo al pub, era presto, ma già suonavano e il Brasile giocava contro l'Argentina, Luis Fabiano aveva segnato?' - 'ti ricordi stavo mangiando un a torta in albergo ed arrivata te, con una gonna nera?' - 'ti ricordi arrivammo ad Ubatuba e il tizio ridicolo che doveva darci le chiavi...'. - 'Ti ricordo di quell'horror assurdo che si svolgeva in ospedale, che non finimmo mai di vedere?' . Ma questi in fondo erano i ricordi che volevo condividere, ma che in parte avevano ancora un minimo di vigore. Altri oramai erano scomparsi in silenzio? Come si chiamava l'albergo con le stanze verdi? Come si chiamava quel cartone animato anni '80, mezzo fantasy, che finiva all'improvviso? Ti ricordi. Anche te.

Avevo desiderato dire ti ricordi? tante volte, era un piacere nascosto, che non avrei mai più potuto usare. Una di quelle cose che mi avrebbe dato un senso di euforia, come quando non bevi da ore e ore e trovi finalmente una birra (Brama?) davanti a te. L'avevo desiderato anche dopo che era morta, anzi: sopratutto dopo i primi anni (ne sono passati 4), poter parlare tranquillamente di qualcosa di andato da evocare. Ma non si poteva. Era un equilibrio strano: certe cose le volevi ridiscutere, ma sapevi bene che non potevi farlo, pena riaprire le cripte di vampiri assetati del tuo benessere. Non si poteva perché al piacere del ricordo faceva da contraltare la paura, l'astio, il rancore. Anche se il rancore era passato, c'era il ricordo del rancore passato, sempre vivo. Bisognava dimenticare di aver ricordato.

Ma A. in fondo era solo l'apice di tutto ciò. C'erano anche i ricordi delle giornate strane e piacevoli con Federica, quel modo bislacco di frequentarci che avevo ancora in mente con affetto. Il bar russo di Tallin, la bella camera di quell'hotel, il mercato enorme di Riga, il molo dell'Elba. Non potevo chiamare Chiara e chiederle della prima volta al cinema (il Filmstudio? O era Tom Hanks su quel film in aeroporto?). Chiederle dell'orribile stazione dell'FR1 dove passavo pomeriggi. Non potevo evocare due strani aneddoti su Khaled Hosseini nati con lei e A. Non potevo chiamare Chaira, Federica, nessuno, sarebbe stato così fuoriluogo. Ciao, parliamo dei ricordi? No, non si poteva. Era già imbarazzante maneggiarli con i vivi, con le persone con rapporti attuali, figurarsi con chi era scomparso.
E sopratutto non tutti avevo gli stessi ricordi. Le cose avvenuto avevano un senso per una parte e uno totalmente diverso per l'altra. Era bello riviverli in superficie, ma scavare restava sempre troppo pericoloso. Rimaneva sempre presente il rischio di dover fare i conti con il diverso peso specifico attribuito ad un momento dalle due parti. No, andava lasciato tutto così. 

Perché c'era anche ipocrisia nelle cose immagazzinate. Di fatto il cervello tendeva a cancellare o comunque a porre in zone remote tutto le cose più dolorose. Magari i fatti simbolici del dolore li tenevi bene in mente se cercavi, ma tutto il resto, tutto il dolore grigio chiaro era svanito. Facile così. Tenere in vista i bei vestiti di un tempo che non entravano più mentre quelli lisi e brutti erano in cantina. Facile, sì.
E pensavo a tutti i ricordi che stavo accumulando adesso, ed alla paura di dover un giorno dimenticare anche quelli. Anche quelli non dimenticabili. Anche la 2a o 3a notte di Belfast, quando nella notte m'ero svegliato terrorizzato (dai vecchi ricordi?) e avevo trovato lei accanto a me, che dormiva, bella con i suoi capelli sulla nuca. E l'avevo stretta e m'era sembrato d'essere sopravvissuto ad un cambio d'era geologica.
Sulla parete avrei messo una libreria e dei poster.
Il ricordo di quella strano giornata, con volo Roma - Zurigo, io che ascoltavo con il mio lettore MP3 ZEN le repliche della Gialappa's di Sanremo 2001 e ridevo come un cretino davanti a tutti, felice perché a breve sarei tornato a Monaco (S8 e S1) l'avrei tenuto per me. Era inutile condividere una cosa che stava lentamente morendo.

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