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sabato 26 ottobre 2013

Berlinguer, il colpo di stato in Polonia, la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre e le critiche di Cossutta.


Nella stessa settimana m'era capitato più volte. Per motivi diversi. Quella stanchezza, quell'indifferenza, quella mancanza di voglia di ribattere, ribadire, precisare. Per il lavoro, per la famiglia, per un libro o per una discussione. Quella sensazione pensante, in cui sai che potresti far valere qualcosa, ma non te ne curi più. Ti chiedi se non sia una perdita di tempo, una inutile regressione post-infantile discutere. Ti chiedi se davvero sia poi così importante spiegare. Se davvero tutto non sia una gigantesca perdita di tempo. Se non ci sia un sorta di recita in cui ognuno debba dire le proprie logore battute senza che questo cambi in nulla una trama scritta da te medesimo in un momento di vigore. Se non stai meglio sulla tua bella ed inospitale torre di plastica. Vedevo le cose intorno a me, e le lasciavo andare. Era stanchezza (fisica, mentale), logorio, febbre. Era un mix di tutto. Mi era capitato qualche volta in passato (ricordo che nell'ultimo periodo [le ultime 4-5 settimane] di vita tedesca avevo mollato qualsiasi discussione perché avevo già preso ogni speranza e aspettavo solo la mannaia, quasi con trepidazione da dolore), e sarebbe ricapitato in futuro. Mi accontentavo di cercare un libro con un personaggio nuovo di cui avrei vissuto la vita per qualche giorno, o di un film nel quale ci fosse qualcuno come Matt Kowalski, un uomo con il quale parlare che avrebbe rimesso le cose a posto, nello spazio, in  una birreria in disuso del Connecticut, o in treno di notte. O forse avrei parlato volentieri con Moretti ne La Stanza del Figlio. Non per capire nessun tipo di dolore (di quello degli altri ci si rimette sempre e comunque non lo si capisce, perché della vita degli altri non sai mai un cazzo), ma solo per buttare giù due parole ad Ancona. Brian Eno era già in sottofondo.

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