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domenica 6 gennaio 2013

Zibaldone digitale



Bene, a Belfast bruciavano le strade, stavolta in forma di commedia (le tragedie già c'erano state), io mettevo il sedere sullo squallido treno che da Fiumicino mi riportava verso Roma* (quella non poteva più bruciare: era persino troppo miserabile per attirare le fiamme), tutto tornava alla normalità, alla mediocrità. Si sarebbe ricominciato a fare i sottopagati, trascinandosi giorno dopo giorno come nemmeno le comparse di Metropolis, fino a che qualcuno non avrebbe tagliato il tuo (non) posto di lavoro, in nome dell'arricchimento di qualcun altro e tu, grazie al meraviglioso paese in cui eri costretto a vivere, saresti finito senza soldi, impiego, speranze**. 

Dagli una speranza e faranno qualsiasi cosa, dicevano i grandi padri democratici (o erano i dittatori?), ma a quanto pare per noi non serviva più nemmeno fingere. Si poteva disprezzare apertamente legalità, compassione, decenza e buonsenso. Faceva oramai parlare del carattere nazionale, delle nostre virtù. Sì, potevi ancora ostinarti ad ascoltare The Ballad of Sacco e Vanzetti, leggere i libri di Terzani (Deng Xiaoping aveva lavorato per qualche anno alla Renault), ma era tutta una pia illusione. Non è nemmeno che saresti stato inghiottito a breve: l'opera era già stata compiuta. Fuggire non si sa bene verso dove.

A Berlino la S-Bahn girava che era una meraviglia. Se le mangiava le rotaie, imprimendo attraverso la millimetrica puntualità il tenore delle giornate. Verdi, grigie, rosse, gialle. Nuvola, vetro, respingente. I caratteri gotici dei nomi di alcune stazioni potevano ricordare, a seconda della propria formazione il nazismo e l'incendio del Reichstag, le sofferenze del vecchio Werther o un tipo di scrittura di word. 
A Berlino parlavano tedesco, parlavano a bassa voce, non sporcavano, non mancavano platealmente di rispetto al prossimo. A Berlino sorridevano, lavoravano, la vita costava poco. 
A Berlino, presto, ad imporci nuovi fallimenti sotto l'occhio vigile della neve. A Berlino per prendere il treno che passando per Praga sarebbe arrivato fino a Budapest, per poi ripartire verso Mosca, per poi schizzare verso est, verso l'oriente, verso Pechino, a Berlino per andare a Pechino, la città proibita ed il fumo azzurro del fiume ocra.



Ma più che sotto alla Porta di Brandeburgo (o alla Grande Muraglia), mi trovavo alla stazione Muratella (persino i nomi, apparivano grotteschi a Roma), con lei di fronte a me, e 3 adolescenti di fianco. La lotta quotidiana tra indecenza (ao, io me lavo du volte a settimana, mica so zozzo), volgarità sociale e generosa spinta in avanti dai connotati osceni (vado a fa er cameriere e queo me da 40 euri pe 9 ore npiedi, sattaccarcazzo io nce torno) era senza speranze. 
O meglio, la speranza era po esse che che coe private pior diploma e poi faccio er barista pe 3 mesi pe pagamme a machina su portaportese, oppure me ne vado nfinlandia a Oslo, a affachè, boh mapro un club daaroma e me faccio 1300 euro ar mese, se e chi cazzoteceviene li, bo i finlandesi, ecchecazz gniene frega daa roma?

Di Roma non fregava niente a nessuno, tranquilli. Manco la speranza gli era rimasta, alla città.


*
Si trattava di un normale Treno Regionale per pendolari, non previsto quindi per il trasporto di bagagli. Negli anni il prezzo era passato dai 2,50€ (ovvero il costo di 30 km su un convoglio regionale), a 5€ per arrivare a 8,50€. Il treno era sempre rimasto esattamente lo stesso, solo che s'era pensato che dato che chi arrivava all'aeroporto era costretto a prenderlo (l'alternativa era un secondo treno dal costo di 15€ o un taxi dal costo di 48€) si poteva approfittare della situazione. I treni erano sporchi, pieni di graffiti, degradati, puzzolenti. 



**
La situazione del mercato del lavoro si era negli anni degradata, in Italia. Erano sorti una serie di forme di collaborazione che non prevedevano tutele per il lavoratore, né economiche (senza ferie pagate, tredicesima, quattordicesima, anzianità, livello) né contrattuale (potevi essere mandato a casa dopo 1-3-6-12 mesi, senza alcuna forma di giustificazione). Inutile dire che la maggior parte dei lavoratori non pubblici godeva di questi nuovi tipi di rapporti.

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