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domenica 23 settembre 2012

Windy Night



Camminava per la windy city.
S'era buttata alle spalle il lavoro, il camice e lo stress, e lasciava che il vento le accompagnasse la schiena. Ricordava del viaggio fatto anni prima, quando era giovane (adesso lo era ancora, ma in una nuova fase), quando aveva girato Boston, New York, la Florida e l'Ohio con occhi ansiosi e passi rapidi.
Ricordava della scuola che aveva frequentato - era piena di ragazzi svizzeri e francesi -, delle notti in cui era uscita, dei ragazzi con cui aveva flirtato.
Ricordava tutto, e bene, ma senza alcuna pesantezza. Poteva girare per Chicago senza che gli occhi del suo amico di anni prima o le parole della room-mate dello stesso viaggio le apparissero come sfide opprimenti e quindi insormontabili. Ora poteva sedersi e lasciare che la cameriera - 40 anni, 2 figli, difficoltà a pagare il mutuo, un buon inizio con un nuovo compagno - le riempisse più volte la tazza di caffè. Era un gesto naturale: il caffè ondeggiava davanti a lei, e poteva permettersi di sorridere ai passanti che vedeva attraverso le vetrine del diner. Alcuni ricambiavano persino.

Non c'era nulla da cambiare, la sera sarebbe tornata in albergo, avrebbe visto un po' di Cbs - i programmi TV americani erano cafoni quanto quelli italiani, seppure in modo totalmente diverso - e avrebbe lasciato che il sonno s'impadronisse di lei. Avrebbe sognato il fidanzato - era rimasto nella merdosa Roma, con il suo pidocchioso lavoro, i suoi affanni, i suoi libri sull'Unione Sovietica da leggere e McNulty che lo fissava allo specchio - e poi la mattina dopo si sarebbe risvegliata, ancora rintontita dal jet lag.
Forse prima di dormire avrebbe ripensato al loro primo incontro, lui sorridente, lei bella e meravigliosamente fuori posto, lui a parlare della Banda dei Brocchi, lei a ribattere sugli autori irlandesi, lui con una chiara, lei con un succo si frutta. O forse avrebbe ripensato al suo fidanzato del liceo, di cui non parlava volentieri, ma che aveva un posto ed una stanza ben precisa nel suo cervello. Tutti avevano un loro posto, salvo traslochi.

Forse avrebbe ripensato ad altri uomini. Era tardi per prendere decisioni su cosa pensare, non c'era tempo. Una cosa è certa: l'ultima cosa che le venne in mente furono le sue passeggiate a Boston, di notte, fatte anni prima. Aveva bei jeans, un libro in mano ed una felpa verde. E tutto le pareva maledettamente semplice. Come adesso.

sabato 15 settembre 2012

Il grande inventore di post notturni




Era in ritardo, come al solito. Io ero appena uscito da una giornata di lavoro massacrante. Capi inetti, cafonaggine varia, autobus sporchi, pieni di italiani indecenti e stranieri senza rispetto non per gli altri, ma nemmeno per sé stessi. Roma sempre più sporca, senza vita, affossata dalla propria totale mancanza di decenza. Roma senza morale, invasa da truppe più crudeli di quelle naziste. Senza pietà nei confronti del gusto. E aspettavo, già incazzato.

Sono nel traffico, dai, arrivo.
E sbuffavo per la sua incapacità nel capire che mettevo la puntualità al primo posto dei valori dell'umanità. Prima della fame nel mondo, c'era la precisione, la grazia degli orari rispettati, delle coincidenze dei mezzi pubblici, la meraviglia dell'ottenere ciò che t'è dovuto nel tempo prestabilito. Poi era arrivata e s'era beccata, per almeno 45 secondi il mio astio affannato e stanco. Una cazzo di volta che arrivassi in orario.

Poi però aveva sorriso, E dai, scusa, c'era traffico, ma non era né un sorriso gonfio d'allusioni sessuali, né complice, né suadente: era il suo sorriso onesto e pieno d'affetto, colmo di semplice dolcezza. Aveva sorriso e mi aveva detto di prenderle una cosa nella borsa. Ecco, aveva portato il panino (incartato nella carta argentata), la Coca. E sotto c'era Open, il libro di Agassi che volevo leggere da mesi. L'avevo guardata e aveva sorriso di nuovo. Pazienza se non fossimo arrivati in tempo al concerto.

Ma poi ce l'avevamo fatta: l'Auditorium era lì, entro pochi minuti Beethoven sarebbe risuonato nelle nostre orecchie pavide, nell'indifferenza del mondo. La rivoluzione tedesca avrebbe fatto il proprio corso, per una serata. Arrivavamo alla sala, e lei camminava con indosso un vestito da sera, che metteva insieme raffinatezza, classe, sobrietà, eleganza: istillava il desiderio lentamente, in modo quasi nascosto. Vederla accanto a me era non solo una soddisfazione personale, ma un credito che finalmente incassavo. Sì, il grande scrittore notturno passava alla cassa.

Credi proprio che tutte le tue ex ti rimpiangano?
Sì, le avevo detto. Oh, non dico che tornerebbero con me: la Cagna se n'era andata di sua volontà e aveva fatto di tutto per rendere chiaro il messaggio che se ne fotteva altamente della mia persona, eppure anche lei mi rimpiangeva, era certo. Lei come tutte. Le ex mi rimpiangevano, troppi perché, e accanto alle gioie ricevute, avevo accumulato anche anni di frustrazioni, delusioni, mancanze clamorose d'empatia. Quindi ora era tempo di gonfiare il portafoglio: il grande scrittore meritava il suo concerto di musica classica, la sua ragazza incredibilmente fine, empatica (tranne che per i ritardi, d'ogni genere), ed intelligente.

Il grande scrittore meritava di guardarsi accompagnato da lei alla sala principale, lui nella sua bella camicia nera, lei nel suo vestito delizioso. E di pensare che 2 ore dopo avrebbe dormito con lei, ed il suo cane, e la sua mano sospesa nel vuoto sarebbe stata l'ultima immagine prima della notte.

domenica 2 settembre 2012

Notte di riconciliazione



M'ero svegliato di notte. Assalito dal panico. Vecchi fantasmi ed ansie presenti. Non avevo un lavoro, una nazione ed ero tormentato dalle solite angosce: vecchie ragazze, vecchi posti, vecchie idee. Non avevo ideali quali votarmi: dio era morto, il comunismo pure, e persino il capitalismo se la passava male. Non c'era nulla in cui credere e nulla da disfare. Non si trovava buon vino e faceva freddo. Non c'erano risposte da cercare, perché, in un certo senso, non v'erano più domande.
M'ero svegliato di notte e non c'era niente che non fosse grigio. I libri erano finiti, i film terminati, i viaggi anche. Ma m'ero svegliato di notte e avevo visto lei. Dormiva a 30 cm da me. No, non avevo potuto pensare "abbiamo appena fatto l'amore", perché non l'avevamo fatto. Ma lei dormiva da me, i suoi capelli aurei distesi sulle lenzuola, il viso totalmente abbandonato alla notte. Lei dormiva accanto a me, e finalmente, dopo anni di dubbi, dolori e delusioni ricercate con piglio ostinato, avevo appena trovato un approdo sicuro. Senza che per questo fosse facile o noioso. Lei dormiva accanto a me, m'ero svegliato di notte, ma poi, ero tornato a dormire. E avevo dormito bene, quella notte.

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