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martedì 6 novembre 2012

Il giorno eroico in cui feci 6 miglia




Allora ero al centro commerciale e giravo per l'IKEA. Letti, librerie, coppie sfatte ed in divenire (no: non credo sia un buon ambiente per beccare una), e lei magicamente saltellava da un salone all'altro. Non avevo fatto 500 miglia per ritrovarmela davanti (magari, avevo rinunciato a farlo, verso altre destinazioni), eppure ero comunque sfinito. Sfinito in quel modo in cui ci si sente quando si ha la percezione di star compiendo qualcosa più grande di sé, benché rientri nell'ordine naturale delle cose. Non è importante scegliere una cucina (ad induzione, diamine!), un frigorifero bello ad argentato (col dispenser per l'acqua? o fa da cafoni?), un piano da lavoro per la cucina. Non è fondamentale né difficile farlo. Eppure sembravano cose d'un altra dimensione. Io che giravo per i corridoi incrociando quelle donne stanche, ma venate d'improvviso entusiasmo, oppure piene di vita, che vedevano l'imminente opportunità d'una felicità a portato di mano, e quindi ancor più rischiosa. O che contravvenivano alle mie teorie appena declamata e cercavano un tipo agile e carino da sbattersi nei cessi (finti) del gigante svedese.

E tra un corridoio e l'altro dovevo frapporre tra me ed il mondo (gli altri, l'enfer) quella leggera ed invisibile patina di cemento, che permetteva di ripararsi da vite che non erano la mia e l'empatia da dimostrare a chiunque. Potevo distendermi su un letto che non sarebbe mai stato il mio, lucidare un immaginario piano cottura e sfogliare libri svedesi di cui non conoscevo la trama, ma il finale. Lei guardava, rideva, si aggiustava leggermente gli occhiali, come sa da un secondo all'altro avesse dovuto fare scelte fondamentali e non le metteva poi tanta paura l'idea di sbagliare, a patto che l'errore fosse condiviso e comportasse la mia trascurabile presenza.

Poi eravamo andati a vedere i piatti.

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