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venerdì 16 marzo 2012

Passaporto all'iraniana



Una scrittrice iraniana, che vive da decenni in Francia, si trova a dover rinnovare il proprio passaporto (iraniano) a Teheran. Le cose sono destinate ad essere tutt'altro che facili.

È strano leggere oggigiorno qualcosa di comico ambientato in Iran. Eppure Passaporto all'iraniana è stato scritto solo 5 anni fa, quando Ahmadinejād era già presidente della Repubblica Islamica e la rivoluzione già compiuta da decenni. Malgrado le leggi islamiche facciano da contorno alle peripezie assurde e parossistiche della protagonista, si respira un'aria leggera, fresca, e le vicende assumono un tono quasi grottesco. 

Rinnovare il passaporto a Teheran diventa un'impresa eroica, tra burocrazia improduttiva, schemi (il)logici kafkiani, e consuetudini che appaiono senza senso agli occhi di un occidentale. Eppure. 
Eppure c'è una grandiosa umanità dietro a tutti i personaggi del libro, un'umanità antica, a volte ridicola, ma sempre sincera. In bilico tra corruzione, abnegazione, incapacità e millanteria, tutti cercano di dare una mano a Nahal, nella sua ricerca di rinnovo del passaporto. L'autrice posa così uno sguardo compassionevole ed ironico, ma mai senza rispetto, per i fotografi tuttofare, i medici che si improvvisano esperti di marketing, ed i tassisti dalle mille professioni. Tutti, anche i più umili mantengono una propria dignità e cercano di dare una mano, in modo a volte sincero, ed altre interessato. 

Tajadod non giudica, si limita ad osservare la situazione divertita e disperata a seconda dei fatti. Quando cerca di spiegare al marito le proprie peripezie, lui non può far altro che sbruffare: "non capirò mai questo paese". No, l'Iran, con le sue mille contraddizioni rimane incomprensibile agli occhi degli europei: l'onnipresente ta'orof (ovvero la trattativa che si intavola al momento del pagamento perché nessuno accetta, direttamente, di ricevere denaro per le proprie prestazioni), le procedure burocratiche senza senso, l'eterno traffico di Teheran che richiede ore per attraversare la città in taxi ed un popolo giovane che si dibatte tra fondamentalismo religioso e voglia di parabole e borsette all'italiana: tutto può apparire senza senso se non s'è intrisi di cultura del posto.

Leggere Tajadod diventa allora un esercizio non tanto finalizzato alla comprensione dell'Iran quanto piuttosto al cogliere aneddoti, spunti ed immagini su un paese lontano non solo geograficamente. Il tutto corredato da una comicità fine ed a tratti irresistibile.

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