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mercoledì 28 dicembre 2011

Il sogno che volevo fare dopodomani


Mi stava davanti. Non la vedevo da 2 settimane: piccolo litigio idiota (per cos'era di preciso?), impegni di lavoro, nervosismo, crisi di governo in un paese del sudest asiatico, recessione affettiva seguita da dolori allo stomaco. La dittatura della bile imponeva i suoi ritmi infernali alla quotidianità.
Non è che non volessi fare il primo passo (il primo passo, che espressione vuota ed abusata) e quelle stronzate lì, è che i giorni mi sfuggivano di mano ed il solco diventava un po' più profondo, anche se in modo impercettibile. I Muli facevano il loro corso. M'ero anche detto ma perché non chiama lei?, ma avevo lasciato stare dopo 5 minuti: non potevo incolpare gli altri del fallimento che portava il mio nome sulla fronte. E allora avevo telefonato. Ogni squillo era stata una nota della Nona, sempre più tetro ed enfatico, come fosse un caro armato in un giorno di festa nazionale. Poi aveva risposto - oh sei tu - ed era stata incerta per i primi 20 secondi. Ma la voce era velocemente tornata quella un po' ovattata e con sottofondo di impercettibile entusiasmo di sempre. Probabilmente aveva passato giornate non esaltanti, anche lei. Ci eravamo dati appuntamento davanti ad un pub che conoscevamo bene. Lei era comparsa con 20 minuti di ritardo - nei quali m'ero limitato a pensare cazzo arrivi in ritardo pure oggi - ma poi m'aveva sorriso e c'ero passato su. Non era ancora arrivato il momento di riscuotere la cambiale della puntualità. Dentro c'era musica, e finalmente, dopo 5 minuti che c'eravamo seduti, era partita So Far Away. Le avevo preso la mano sinistra ed era arrivata la birra.

Beh, era stato un anniversario un po' strano.

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