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venerdì 11 novembre 2011

Snow Patrol - Just Say Yes



Insomma tornavo a casa. Camminavo, ed era notte. La città era vuota, non insolitamente: tutti a consumare orgasmi tiepidi nei loro appartamenti ultraperiferici acquistati con mutuo 35ennale con rata fissa a 780 euro al mese, credendo di vivere un amore normale (quindi, grande), finché l'atto di venire non rischiarava per qualche minuto le loro stanche menti: chi è quest'essere che giace nudo davanti a me e perché deve rovinarmi la vista?

Tornavo a casa, scendevo per gli orridi corridoi della metro B (dava un senso di sorpassato sin da quando l'avevano rinnovata sul finire degli anni '80, ma era troppo brutta per essere considerata vintage), e prendevo il primo convoglio. Il mio vagone era totalmente vuoto, il ché conferiva una certa eroicità malinconica al mio viaggio. Leggevo il primo capitolo di un libro di DFW, scoprendomi oramai drogato d'uno stile a volte noioso, ma intinto di originalità. Leggevo la dedica del libro sorridendo in modo maturo e rattristato. Le stazioni scorrevano in modo imperfetto. Quando ero piccolo chiamavo Pollicino la stazione metro Policlinico. E pensavo che lo stato italiano dopotutto fosse stato davvero gentile ad intitolare una fermata al protagonista di un racconto per bambini. Mi sbagliavo sia sul nome che sullo stato italiano, ma me ne sarei accorto solo dopo alcuni anni, molte delusioni, ed alcuni freddi baci.

Tornavo a casa, salivo le scale, accendevo il computer, bevevo una birra piccola, rimanevo in boxer, mi lavavo i denti, guardavo il computer, toglievo polvere inesistente dalla copertina rigida del libro di DFW, e venivo a conoscenza dell'esistenza di Just say yes, degli Snow Patrol. In un certo senso trovavo la scoperta un po' beffarda perché sarebbe stata la canzone perfetta da ascoltare in metro, 30 minuti prima, al posto di A mano a mano e Money for nothing. Perché le parole, in un certo senso, nemmeno poi tanto oscuro (chi l'ha detto che i momenti di epifania siano per forza frutto di astruse ed incredibili situazioni?), rivelavano un po' uno stato d'animo (comune, quindi grandioso) che era durato dal momento in cui ero entrato nel convoglio (quelli vecchi, rovinati dai writer, gli animali incivili, insomma) a quello in cui erano partite le note. La musica poi era terminata, avevo spento il Pc, e m'ero limitato a riaprire il libro di DFW.
Scorreva bene.

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