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mercoledì 23 novembre 2011

Frammenti di un viaggio in metro


Lui sembrava uno studente iraniano, dissidente, ma ancora fiero del proprio paese. Lei invece pareva tirata fuori dalla Parigi degli anni '70, con quel taglio di capelli, quel viso grazioso e ben delineato e quel vestito elegante e femminista. Erano stanchi. Seduti sui sedili della metro B, direzione Rebibbia. Lei gli si appoggiò contro la spalla, e chiuse gli occhi. Si sentiva finalmente protetta. Lui aveva lo sguardo pensieroso di chi sa di aver fatto la cosa giusta, ma è preso in dinamiche più forti di lui. Nel pomeriggio avevano parlato di Dürrenmatt, della Morale e dell'assurdità del Caso.
Lei lo aveva ascoltato intrigata, lui le aveva raccontato cose con fare innamorato ed appassionato. Si stimavano e quindi tutto veniva trasmesso con la facilità con la quale scorre la 3a birra in una serata triste e violacea. Non avevano soldi, non tanti almeno, eppure pareva che riuscissero ad aggrapparsi al domani con una forza sconosciuta. Erano fiduciosi in modo malinconico e perseverante. Lui era terribilmente attratto dalla spontanea freschezza di lei. Lei dalla risolutezza post-adolescenziale di lui. Non sarebbero tornati in Iran, troppi rischi. Il tepore sporco di Roma per il momento era la migliore soluzione possibile. Nonché l'unica: la scelta è un lusso che non tutti hanno.

Mancavano ancora 3 stazioni. Davanti a loro s'era seduto il ragazzo. Li osservava. Inizialmente il ragazzo che sembrava iraniano pensava che il ragazzo stesse guardando la sua ragazza con fare ammiccante. Invece non era così. Il ragazzo davanti a loro pareva immerso in un'euforia controllata. Sorrideva. Ma in modo sobrio, ragionato, come se ancora mancasse qualcosa. Forse aveva avuto un buon colloquio di lavoro. Forse aveva vinto 100 euro. Forse aveva appena finito di leggere un libro grandioso, tipo Resurrezione di Tolstoj. Forse era uscito con una tipa e tutto era andato come voleva, tranne qualcosa. O forse era solo scemo.
La ragazza che pareva parigina aveva riaperto gli occhi. Aveva dato un bacio sulla guancia del ragazzo che sembrava iraniano. Lui le aveva rivolto uno sguardo che lasciava presagire anni di complicità. E viaggi. L'indomani sarebbero andati al mare, avrebbero portato un telo, e si sarebbero distesi e messi a leggere: lui quel romanzo di Borges che voleva finire entro fine settimana e lei quello di Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, che tanto la stava colpendo. C'era quel racconto sulla prima cosa che non ami in una persona. La divertiva, in un certo senso.
Eccoli, erano arrivati a Monti Tiburtini, dovevano scendere. Il ragazzo di fronte a loro fece un ultimo sorriso. Poi la metro ripartì.
Chissà cosa lo aspettava, il giorno dopo.

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