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domenica 5 giugno 2011

L'odore del caffè andato a male



Volevo scrivere qualcosa ma le parole m'erano uscite dalla mente. No, siamo onesti: volevo scrivere qualcosa, ma non avevo parole in testa. Non ce le avevo e basta. Il fatto di non avere alcun talento, implica che non s'è sempre in grado di scrivere cose sensate.
Sveglio di domenica mattina, perso tra i tweet e l'odore del caffè, cercavo case in posti futuri. Pensavo ad un nuovo lavoro. Meditavo su quali stampe avrei comprato per arredare le mura della mia nuova camera da letto. Sul colore delle lenzuola, blu, o forse una fantasia da bambino. Non avevo un nuovo lavoro. Non avevo nessuna nuova casa. Ma era impellente organizzare questa (inesistenete) vita futura. Respirare nel futuro era l'antidoto imprescindibile per riuscire a far pompare il sangue nelle mie vene, adesso.
Allora sì: andare a Modena a trovare l'amico, passare per Milano a trovarne un altro, fermarsi a Pavia per bere con la ragazza che ti ricorda Juno e che vorresti avere a 5 km da casa tua per andarla a trovare in bici, come in quei film scemi che vedevi quando eri piccolo, come Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il libro che t'era tanto piaciuto quando avevi 16 anni e sembrava tu potessi fare tutto con un po' di buona volontà, ora questa visione è sepolta sotto secoli di infamia e di umiliazioni, e poi prendere un treno per Graz, cercare una casa a Geidorf, e una volta lì, stancarsi di tutto, cominciare a cercare un lavoro a Berlino, prendere l'aereo per Tegel, affittare un appartamento in Prenzlauer Berg, dormire con qualche ragazza tedesca, fare finta di essere l'affascinante giramondo che parla 5 lingue, ma non sorride mai se non ha bevuto 4 birre chiare, e poi schifarsi, bere, ancora, finché il dolore allo stomaco non diventi insostenibile, finché non sia possibilie urlare, finché crepare sia un sollievo. Ecco facciamo così.  A lunedì, penseremo domani.

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