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lunedì 25 aprile 2011

Una giornata particolare - Via Tasso


Abbiam camminato lungo la via. Poi siamo entrati. Al pianterreno c'erano 4 poliziotti e 3 carabinieri.

"Guarda te se c'è qualche politico del cazzo e a noi non ci fanno entrare.."

Ma non c'era nessun politico. I servitori della stato erano lì per ragioni a noi ignote. Forse dovevano far presenza, nel caso arrivasse qualche animale fascista a far casino.
I servitori dello stato avevano ignorato il mio freddo "buondì", ed erano tornati immediatamente alle loro discussioni sui massimi sistemi:


"Ma il bagno?"
"E' qui, la prima a sinistra"
"E' occupato!"
"C'è il collega"
"Che tempo oggi è?"
"Non si può proprio.."
"Oi mettiti in fila per il bagno eheh"
"Eh tutti lì dobbiamo andare"

Li avevo ignorati con garbo. Tra l'altro, li pagavo io, i servitori dello stato.

Allora avevo firmato il registro, ed avevo cominciato a guardarmi intorno. Il museo era come l'avevo lasciato 5 anni addietro: sobrio, ben ideato, povero, totalmente privo di fascino turistico, con un aura di eroismo civico aleggiante. C'era la foto di don Pappagallo (Aldo Fabrizi di Roma Città Aperta, insomma), c'era quella di Bruno Buozzi, e c'erano quelle delle altre decine di persone torturate lì.

Ecco, chi segue un po' il blog, e chi mi conosce un minimo, sa bene che odio la retorica. Odio il populismo facile. La mistica del passato e l'esaltazione di ciò che è stato. Ma come si faceva a rimanere impassibili di fronte alle testimonianze? Le lettere? Le parole incise nel cemento: di dolore, rabbia, rassegnazione e fiducia? Come si faceva a rimanere insensibili di fronte alla morte altrui, la morte disinteressata di qualcuno, mosso unicamente dall'amore, dal civismo, dal patriottismo, (quando ancora questa parola aveva un senso), dal bene pubblico. Come si faceva?

Si parlava tanto delle persone che sotto tortura non parlarono. Non rivelarono nomi, dati, luoghi. Bene, ma non si dimentichi di chi parlò. Non si dimentichi chi sotto tortura parlò. Non si facciano classifiche di eroismo. Per favore.

Scorgevo foto, descrizioni, biografie, vestiti unti di sangue, libri e rapporti scritti in tedesco. Ad ogni nuovo nome, facevo fatica, a trattenere una lacrima: non per sciocca etica della virilità, ma solo per un sussulto di dignità. Mi sembrava così stonato, cosi egoistico, piangere in un luogo dove eran state torturate persone; versare lacrime da 27enne a cui niente è mai mancato, di fronte a chi una mattina s'era alzato e aveva deciso che era tempo di morire, pur di far star bene gli altri.

La tv era rotta, niente materiali audiovisivi. Pazienza. Normale in un paese come il nostro: vengono comprate case a loro insaputa ai ministri, il presidente del consiglio è indagato tutti i giorni per fatti esecrabili, vengono assunti amici degli amici, (ex?) mignotte siedono nei consigli regionali,  in parlamento gira di tutto, ma poi, i soldi per il Museo della Liberazione, mancano. E' normale. Magari entro qualche anno lo chiuderanno 'sto museo. Ci metteranno un bel negozio di souvenirs. Renderà di più. Sarà più profittevole.

Poi la visita era finita. In due ore passate lì, saranno entrate al massimo altre 5 persone. A quanto pare, non interessava poi tanto, agli italiani, il Museo della Liberazione di Via Tasso.

Normale, in questo paese di animali.

1 commento:

  1. concordo pienamente in molte cose che hai scritto! ti seguo! http://redpassioncy.blogspot.com/

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