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sabato 26 marzo 2011

Il compleanno di Elisa


Erano le 21. C'era lo sciopero dei treni. Il mio, per Udine, doveva partire attorno alle 22.40. Non le avevo detto nulla, sarei andato a trovarla senza invito, senza avviso, senza preamboli. Non sapevo ancora se il treno sarebbe partito. Mi ero stancato delle telefonate. Poi, allora, mica c'era skype o gtalk. Avevo mangiato a casa di mio padre, non troppo, e bevuto una birra. Mio padre mi aveva detto che non era il caso di farsi la seconda. Poi eravamo andati in stazione. Orde di passeggeri accampati per i corridoi. Avevo cercato con ansia il nome del mio treno sul tabellone delle partenze: non era ancora stato digitalizzato, ma era di quelli che con le letterine che girano, ed a poco a poco compongono orari, nomi di stazioni, sogni. Ed eccolo, era apparso. Come si chiamava? Canova, forse. Ero salito. C'era una ragazzo napoletano che andava a trovare la sua fidanzata a Bologna. Un tipo di colore che andava a Pordenone. Un prete che viaggiava con una scolaresca, o forse erano ragazzi dell'oratorio.
Mio padre m'aveva salutato un po' inquieto, ed il treno, s'era mosso. Viaggiavo per la prima volta completamente solo. Di notte. Avevo deciso che avrei fatto i maledetti 600 km, per andarla a trovare. Bisognava battere e levare, prendere la situazione di pugno, no? E poi' avevo dato la maturità qualche giorno prima, cosa mi sarebbe mai potuto succedere?

***

Un ragazzino che viaggiava col prete leggeva un libro sui nazisti. Anzi faceva finta di elggerlo. Il ragazzo napoletanao fremeva dalla voglia di arrivare a Bologna. Il nero si faceva i cazzi suoi, dispensando qualche sorriso. Ogni tanto chiudevo gli occhi, ma l'adrenalina del viaggio, dell'incontro prossimo, mi teneva abbastanza sveglio. Viaggiavo con il gel nella mia tracolla di cotone. Quella sarebbe stata l'ultima volta in vita in cui avrei usato il gel. Alle 4 eravamo arrivati a Padova. "Arrivederci, padre", avevo detto al prete, dandomi un tono serio e fuori luogo. Cazzo ero un ragazzino. Probabilmente mi ero persino sbarbato. Ma non me lo ricordo. Alle 5 eravamo rimasti un'ora fermi a Venezia. Avevo scambiato due parole in francese con il tipo. Ma non mi ricordo da che nazione venisse. Era tranquillo. Chissà che fine ha fatto. Incontriamo persone sui treni, che poi scompaiono dalla nostra vita. Mica c'era facebook allora. Mica c'era twitter. Del resto, spariscono dalla nostra vita anche le persone che amiamo. Figurati quelle degli scompartimenti di trenitalia.

Poi alle 6 ero arrivato a Treviso. Eccola era lì. Finalmente camminavo e mi orientavo per le vie della maledetta città. Vedevo l'orribile palla di ferro vicino alla stazione, il Sile, i bar. Vedevo le aiuole e per la prima volta, una città italiana, pulita, e piacevole. Ero al nord, insomma. Giravo per le vie  con fare esperto, seppure non avessi la minima idea di quel che dovessi o potessi fare. Mi riempivo di caffè. Mi ero lavato il viso alla fontana, tra gli sguardi attoniti dei passanti benpensanti. Dispensavo loro i miei migliori sorrisi ironici. Stavo affinando la tecnica che col tempo sarebbe diventata arte. 
Poi l'ufficio turistico aveva aperto. Mi avevano dato la mappina verde di Treviso. Avevo cominciato a girovagare con senso. Ero andato al mercato, credendo di scorgere sua madre in ogni donna bionda sui 45. M'ero seduto a leggere la Repubblica. O forse era il Manifesto. Mi piaceva fare il tipo di sinistra, allora.
Poi l'avevo chiamata, mentre ero davanti all'ufficio dell'immigrazione.

Sono quì
Quì dove?
Indovina
Cosa cazzo dici
Eh oh
Perché, perché
Volevo vederti
Non dovevi
Ora però son qua
Allora vattene
Ma perché?
Non possiamo, non possiamo

La telefonata era finita. Sembrava che fossi atterrato in padania, a 600 km da casa mia, senza motivo. In futuro avrei fatto di peggio, finendo a 12.000 km da casa, nel continente sbagliato, al momento giusto, per la donna sbagliata. Ma il futuro era lontano. Il futuro ancora non si vedeva. Il futuro era come avrei passato tutta la giornata a Treviso, incazzato per un rifiuto incomprensibile, e senza poi tutta questa voglia di riempirmi di spritz all day long. Avevo mandato un po' di sms a gente a caso. M'ero accorto che le ragazze di Treviso mi guardavano. Era la prima volta che prendevo un po' consapevolezza che non ero poi tanto male. Anzi. Avevo scambiato un po' di sms con Elisa. Ricordo male i testi. Ricordo male tutto. Ero giovane, dopotutto, no?

Poi però lei, mossa pa passione, pietà e rimorso, aveva acconsentito al vedermi. Ma avrei dovuto aspettare che i suoi fossero andati via. Ero arrivato alla via di casa sua alle 20.00 - scendi alla fermata delle scuole elementari, chiedi all'autista. Poi attraversa la piazza e gira a sinistra, dopo il ponte -.
Non trovavo il cancello. Giravo senza senso.

"Ma non lì, qui!"
Era la sua voce.

Avevo trovato il cancella ed ero entrato. Le indossava una maglietta grigia. C'era la coca cola sul tavolo. Avevamo parlati vagamente imbarazzati. Ci eravamo baciati dopo un po'. E' dura la vita del 18enne, la vita del ciclista che viaggia sui treni, del lettore di libri in piena formazione che arriva a Treviso. E' dura la vita di un ragazzo emotivamente immaturo. Lo ero. E lo sono ancora.  E' dura la mia vita.

Dopo 2 ore di baci scemi, e frasi dolci me n'ero andato. Sorridevo. Era notte, ed ero su una strada provinciale, a piedi. Non sapevo come orientarmi. Avevo il treno per Roma poco dopo. Girava a caso. Perso sia nei movimenti che nella testa, tale era stata l'emozione. Nessuno in grado di darmi una indicazione. Poi alla fine avevo fatto l'autostop. Un tipo mi aveva salvato, davvero. Era andato come un pazzo, e la mia mancanza di personalità mi aveva impedito di allacciarmi la cintura di sicurezza.
Alla fine ero arrivato alla stazione, le avevo mandato un paio di sms ed ero salito sul treno per Roma. Non ricordo chi fosse nel mio scompartimento. Però, mentre chiudevo gli occhi per la stanchezza, ricordo ch'ero felice. Già. Ricordo solo una sensazione di felicità vitale, come solo l'inizio dell'amore sa darti. Come solo l'amore dei giovani scemi può dare.

Quasi 9 anni dopo, erano successe un sacco di cose.

Ed ero finito a scrivere un post, sul mio blog, per il giorno del compleanno di Elisa.

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