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venerdì 28 gennaio 2011

Am Ende kommen Touristen



Faccio parte di quella schiera di persone che rifiuta di ricordarsi del mostro antisemtita un solo giorno l'anno. Però, in Italia, pare i film sull'olocausto vengano diffusi solo il 27 Gennaio. E quindi, mi son ritrovato, in una trascurabile serata romana, al Goethe Institut, con amiche varie (storiche, acquisite, e nuove) a vedere Am ende kommen Touristen.


Sven è un ragazzo berlinese che per caso si ritrova a svolgere il servizio civile ad Auschwitz, dove entra in contatto con un vecchio deportato, e la realtà locale. Ne uscirà cambiato.

Piccolo film dal taglio minimalista e semidocumentarista, la pellicola di Thalheim evita ogni cliché, e chiave di lettura forzata.  Sven arriva ad Auschwitz senza una particolare formazione culturale e politica, ma con la mentalità del tedesco medio degli anni 2000: consapevole, certo, di cosa sia stato l'olocausto, ma da lontano, da persona informata, ma non da ragazzo direttamente coinvolto. Il rapporto che instaura con il vecchio Krzeminski (un bravo e toccante Ryszard Ronczewski, nella sua algida recitazione), cambia la sua percezione  della vita e della Storia. Ma è un cambiamento senza traumi, senza pretese, senza drammaticità agiografica. Tutto avviene attraverso piccoli episodi di vita quotidiana. Chiaro è l'intento del regista di ricordare che il dramma dell'olocausto viene scontato in ogni momento della vita, e non solo attraverso la visita al campo di sterminio.
Ed è toccante, come il vecchio deportato, non abdichi alla sua vita ed alla sua silenziosa battaglia: rifiuta di trasferirsi dalla sorella in campagna ("la mia vita è qui, nel campo"), e continua con pervicacia a restaurare le vecchie valige dei deportati. La guerra è forse finita, ma la memoria non si piega allo scorrere del tempo.

E i tedeschi, come vengono mostrati? Senza dogmi. Si va dal ragazzo alla ricerca di se stesso, al responsabile del museo, metodico ed impassibile, alla direttrice  della fabbrica che si comporta in modo retorico ed ipocrita con l'ex deportato.
Interessante l'analisi, appenna accennata, della globalizzazione e del ruolo economico della Germania nella nuova Europa.

E' un film senza vincitori e vinti: la battaglia s'è persa 65 anni fa con lo sterminio di un popolo. Ora si può solo ricordare, e rifuggere dall'oblio.


Voto 6.5/10

Ps

Due momenti cult:

Al bar vecchi polacchi prendono in giro Sven perché non ha l'orologio: "un tedesco senza orologio? ma questo è impossibile!"

Parlando del licenziamento di un ragazzo polacco, Sven si rivolge alla direttice: "è come 65 anni fa: quando non avete più bisogno delle persone, le eliminate."

Pps

Il film era in tedesco con i sottotitoli. Ma capivo quasi tutto: cazzo!

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