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domenica 26 dicembre 2010

Nazim Hikmet - Il peso più grave






Nazim Hikmet, Mosca, 1962



Ti sei stancata di portare il mio peso
ti sei stancata delle mie mani
dei miei occhi della mia ombra

le mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondi

verra' un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi che si allontanano

e quel peso sara' il piu' grave.


Di solito chi legge poesie, o meglio chi le scrive, ritiene che quasi tutti i "classici" siano grandi poeti.
Ora, debbo fare una confessione: a me fan quasi tutti schifo. Non li ritengo nemmeno buoni scrittori. Non leggo Carducci, non leggo Pascoli, non leggo Luzi, non amo particolarmente Ferlinghetti. In generale, trovo le poesie d'amore stupide, ridicole, false. Trovo che la maggior parte dei poeti, spesso scriva quel che la gente vuol leggere. Ma la poesia non è questo. La poesia deve toccare. La poesia deve bruciare quei maledetti indegni polmoni che abbiamo.
A me piace Bukowski. Piace chi parla di cosa sia l'amore. Di cosa sia scoparti la tipa di cui non ti importa nulla, o la donna delle tua vita. Mi piace qualcuno che fissa la tipa nelle palle degli occhi mentre sta avendo un orgasmo ed intanto pensa alla prossima birra. Ed a quanto ami la tipa. Ed a entrambe le cose assieme. Mi piace ci chi parla degli emarginati, ma quelli veri di emarginati, quelli che davvero sono invisibili. Mi piace chi scrive dei mediocri, dei perdenti. Chi scrive di me. Dei  loosers. (A. :"you use to go alone to the movie teather?? you're such a looser"). E poi amo Pessoa che scrive dell'incapacità di trovare un ruolo nel mondo. Dell'incapacità umana tout court. Dell'essere talmente alienato da non riconoscersi allo specchio.
E poi, un giorno ho scoperto Nazim Hikmet. Non sono un critico. E non voglio scrivere un ridicolo saggio (e nemmeno ne avrei le competenze) introduttivo su di lui.

Quando ho letto questa poesia (inizio Dicembre, alla Mel Bookstore) son rimasto scioccato. Perché era esattamente quello che avevo in mente.
Verrà un giorno, in cui li sentirai i miei passi ormai lontani. Sì, verrà. Mi duole solo che non potrò esser lì a constatare. Non dico a gioire. Non puoi gioire del dolore di una persona che ami. Non puoi. Ma puoi provare una malsana e sudicia soddisfazione. La soddisfazione dei piccoli mediocri saccenti come me.
Ed io non ci sarò a vedere. I miei passi m'avran già portato troppo lontano. No, non ho certo la pretesa d'esser rimpianto. Io non sono una persona che qualcuno possa rimpiangere. Non fa parte delle mie corde. Perché cerco di spremere emotivamente e fisicamente le persone. Perché boh, cerco di discutere su qualsiasi cosa. E la mia dipartita credo venga vissuta come una sorta di liberazione.
Ma dopo ogni euforia viene il momento del riflusso. E allora, il peso dei miei passi, il silenzio delle mie mancate parole d'amore e delle mie polemiche politiche, la mancanza delle mie mani, l'assenza del mio corpo accanto al tuo, nel tuo letto, lo sentirai.

E sì, allora, forse per qualche secondo piangerai di dolore. Io ci son abituato.

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